La sciagurata Juventus e la speranza del pessimista

La sciagurata Juventus e la speranza del pessimista
domenica 27 ottobre 2024, 23:59Editoriale
di Roberto De Frede
La speranza ha due bellissimi figli: lo sdegno e il coraggio. Lo sdegno per la realtà delle cose; il coraggio per cambiarle. (Sant'Agostino)

Per la trasferta pomeridiana milanese contro l’Inter, ottimisti purtroppo non si può essere, dopo la prestazione sciagurata contro lo Stoccarda. Intendiamoci, l’aggettivo è usato non per dire che in campo con i bianconeri v’era una sorte avversa, un malaugurio, anche perché tra palo dei tedeschi e rigore parato da Perin la serata era stata fin troppo benevola. Pirandello nel fu Mattia Pascal, riferendosi a tal Terenzio Papiano scrive: «Non pareva affatto in mala fede; pareva piuttosto uno sciagurato che avesse affogato la propria anima nel vino, per non sentir troppo il peso della noja e della miseria». È questo il significato adatto per i bianconeri di martedi sera: sciagurati, ovvero di coloro che trascurano se stessi e i propri doveri, noncuranti e tanto arroganti quanto la loro incapacità di giocare a calcio.

Per oggi resta solo la speranza, non l’ottimismo: un pessimismo speranzoso. C'è una grossa differenza tra ottimismo e speranza, e tanto il primo non mi appartiene, quanto aspiro alla seconda. L'ottimismo è in qualche modo passivo, mentre la speranza richiede un atteggiamento attivo. L'ottimismo è la convinzione che le cose andranno bene; la speranza non fa tale ipotesi, ma è la convinzione che si può agire per migliorare le cose in qualche modo. Speranza e ottimismo possono andare insieme, ma non è necessario. Si può essere un ottimista senza speranza, che si sente personalmente impotente, ma presume che tutto andrà bene. Oppure si può essere un pessimista speranzoso, che fa previsioni negative sul futuro, ma ha fiducia di poter migliorare le cose nella sua vita e in quella degli altri.

Ecco, penso di essere un pessimista speranzoso, per certi versi ben descritto dalle parole di Gramsci, che in verità lui stesso in un editoriale pubblicato su L'Ordine Nuovo nell'aprile 1920, attribuisce il motto al drammaturgo francese Romain Rolland: Pessimismo dell'intelligenza, ottimismo della volontà. L’ottimismo – dice il pensatore alerese – è un modo di difendere la propria pigrizia e le proprie irresponsabilità, è una forma di fatalismo e di meccanicismo. L’ottimista conta su fattori estranei all’operosità e brucia di un sacro entusiasmo che non è altro che esteriore adorazione di feticci. Il solo entusiasmo giustificabile è quello che accompagna la volontà intelligente, l’operosità intelligente, la ricchezza inventiva in iniziative concrete che modificano la realtà esistente. Invece ognuno che vive con la speranza, ha la forza di credere che qualsiasi cosa intraprenda, o che lo riguarda, o che concerne il gruppo sociale al quale appartiene, sia in corso di realizzazione, si realizzerà, e sarà positiva per lui come per coloro che costituiscono la sua comunità.

La speranza fa parte dell’uomo. L’azione umana è trascendente, cioè mira sempre a un oggetto futuro a partire dal presente, nel quale noi progettiamo l’azione e tentiamo di realizzarla. Essa pone il suo fine, la sua realizzazione nel futuro e proprio nella modalità dell’agire c’è la speranza, ossia il fatto stesso di porre un fine come se dovesse essere realizzato. Non ho mai considerato la speranza come un’illusione lirica, bensì ho sempre creduto che era un modo di realizzare il fine che mi proponevo, come se potesse essere realizzato.

Ebbene, che i bianconeri, dopo la parentesi del buco nero della nottataccia di champions, scendano in campo a San Siro contro l’Inter con sdegno e coraggio, figli agostiniani di quella speranza imprescindibile per guardare lontano in marcia alla conquista del tricolore, per rinverdire e mai perdere di vista l’unico obiettivo della Juventus: vincere.

«After all, tomorrow is another day», sperando che già oggi sia quel domani luminoso e immortale di Rossella dell’ultima scena di Via col vento!

Roberto De Frede