O la Juventus è imbottita di giocatori scarsi o chi li allena non sa accenderli. E ora viene il derby...
A vedere il bicchiere mezzo pieno, un pareggio a Bergamo, è una cosa positiva. L'Atalanta è un brutto cliente. Il bicchiere mezzo vuoto non è il pareggio contro la banda di Gasperini. Il bicchiere mezzo vuoto è lo scivolamento in classifica, dal secondo al quarto posto. Il bicchiere mezzo vuoto è la forma di Rabiot, che è tornato ad essere il centrocampista anonimo di altre stagioni juventine. Il bicchiere mezzo vuoto è la preoccupante regressione di Fagioli. Il bicchiere mezzo vuoto è l'inconsistenza in attacco: un tiro in porta (con Chiesa) in novanta minuti. Il bicchiere mezzo vuoto è l'inesistenza di uomini come Kostic e Weah. Delle due l'una. O la Juventus è imbottita di giocatori scarsi i cui stipendi non hanno giustificazione (il monte ingaggi della Juve è il più alto della serie A).Oppure chi allena non riesce a trovare la miccia per accenderli. La scorsa stagione dopo un avvio delirante, Allegri ha portato la Juve al terzo posto. Davanti a quel Milan che oggi gioca la Champions grazie alla “ mannaia" di Chinè. Se Allegri arriverà quarto avrà centrato l'obiettivo di collocare nuovamente la Juventus in Champions. Ma avrà anche fallito. Ci sono anche altri fattori che "bucano" il bicchiere. John Elkann, ha recentemente partecipato ad un convegno nel quale si è parlato di innovazione. Di futuro sostenibile. Di Stellantis e di Ferrari.
Ma dove la parola Juventus, dalla bocca dell'azionista di maggioranza, non è proprio uscita. La Juventus ha perso la sua identità. Perché ha progressivamente perduto la specificità che la rendeva unica: quella famiglia che da cento anni ne è proprietaria era anche il suo primo tifoso. Ci
furono stagioni di vacche magre, in passato. Le stagioni dei Traspedini e dei Volpi, quando la Juventus non poteva (come oggi) spendere. Quando arrivarono Giraudo, Moggi e Bettega, da nove stagioni la Juventus non vinceva lo scudetto. Ma mai, anche nei periodi più neri, lo scollamento tra società e famiglia proprietaria è stato così evidente. Elkann non va alla Continassa, come l'Avvocato andava al Comunale ad informarsi per quale motivo un certo giocatore fallisse gol elementari. Elkann non sveglia Allegri alle sei del mattino per informarsi della salute della squadra. La prossima in programma è il derby. La partita che Boniperti avrebbe voluto cancellare dal calendario. Il recente (e anche meno recente) passato, recita Juventus. Ma il derby di Torino è una cosa anomala. Molto più di quelli di Milano, di Roma e di Genova. Il derby di Torino è sempre stato anche un fatto sociale. Sovente narrato male. Spesso narrato all'incontrario. Come (senza scomodare un generale dalle discutibili idee) in Italia è spesso accaduto. La Juventus non è mai stata (nonostante il proprietario fosse un sovrano senza corona) la squadra dei ricchi. E' sempre stata la squadra del pueblo. La squadra degli intellettuali (nonostante il tremendismo di Giagnoni e Radice abbia confuso a molti le idee) è sempre stata il Toro: nel ricordo del Grande Torino.
Leggenda che è impossibile, non amare. E non per la pietas dovuta a uomini tragicamente periti nel fatale incidente di Superga. Ma perché quel Torino fu la più forte squadra "tutta italiana", ogni tempo. Recentemente Giampiero Mughini ha rammentato la Juventus italiana che vinse scudetto e una coppa europea: quella con Causio, Tardelli, Boninsegna, Benetti, Bettega. Ma quel Torino era più forte. Le "facce operaie" di Loik e Mazzola (come scrisse Giovanni Arpino) che infiammavano i battilastra della Bertone, al pari dell'Italia "colta". Soprattutto quel Torino rappresentò la speranza di un nuovo futuro per un paese uscito stremato dal ventennio fascista e dalla Seconda guerra mondiale. Quel Torino era l'Italia. Nessuno dovrebbe dimenticarlo. Considerazione finale: Berardi è del Sassuolo. Ma Orsolini era di proprietà della Juve.
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