La Juventus non è costruita per vincere subito, lo dimostra il mercato assente di gennaio. È l'anno dell'Inter...
Come sovente accade, nel calcio si tende spesso a guardare al dito piuttosto che alla luna. Ci si bea nelle chiacchiere da bar, negli "scoop" inventati da qualche guitto, nelle dissertazioni tecniche che lasciano il tempo che trovano. Il calcio è cambiato: è più fisico, più veloce, gli artisti sono una specie estinta. Arbitrano in due (arbitro di campo e Var) addirittura in tre (a Doha è stato il quarto uomo a segnalare il pestone di Simeone che ha portato alla sua espulsione).
A proposito: quella di Milik è stata sacrosanta. Lo sarebbe stata anche in epoca ante Var. Ed è inutile interrogarsi sul perché a Milik e a Lukaku sia stato sventolato il "rosso", ma non lo sia stato per Berardi, per un giocatore del Genoa o per il turco di Inzaghi. La spiegazione è semplice: gli arbitri sono imperfetti. Davanti e dietro alla macchina. Il "rigore moderno" assegnato da Massa (e fallito da Giroud) in Milan – Bologna, ne è la conferma. La definizione è di Billy Costacurta, non mia. Quindi: "Lissone, abbiamo un problema". Il rinnovo della classe arbitrale è in atto. Ma il tema è un altro: quello del ruolo dell'arbitro in un calcio dove tutto è stato rivoluzionato. Calcio che avrebbe dovuto modernizzarsi solo attraverso la sacrosanta "line technology" e che ora si trova ad usare la "moviola in campo". Con una frequenza che ha devastato con la tempistica, anche lo spirito del gioco.
È un calcio che ha introdotto l'ossimoro del "fuorigioco semi automatico" ma che non ha variato le regole che governano il medesimo. Evitando di considerare che la velocità del gioco è imparagonabile rispetto a quella dei trascorsi decenni. Il calcio non ha mai variato l'altezza e la larghezza delle porte. Visto che fino agli anni Ottanta i portieri superavano di poco l'1.80 e oggi i due metri di altezza sono quasi la normalità. La distanza dei metri quando si calcia un rigore è immutata dalla notte dei tempi. Ma oggi i palloni sono più leggeri, rispetto ai macigni di un tempo. E i tiri possono diventare bolidi che neppure vedi partire. Potrei continuare. La classe arbitrale va formata in altro modo. Dietro alla Var servirebbero tecnici informatici. La Var non deve essere l'inquisizione. Si lasci un margine di imprevedibilità alla partita: si utilizzi la tecnologia a chiamata. Due, tre volte per tempo. Gli arbitri hanno il diritto di sbagliare. Così come gli allenatori o i giocatori. Ma soprattutto ci si accordi sulla uniformità di giudizio. Ormai anche i telecronisti più preparati, in occasione di una certa tipologia di rigore, recitano la poesiola sulla "intensità" da valutare. E chi la valuta, l'intensità? Nessuno: chi lo fa abusa del suo potere. La sua valutazione è soggettiva, inevitabilmente Non può farla la macchina che non è strutturata (ancora no, magari in futuro sì) a misurare l'intensità di un gesto. Sono valutazioni estemporanee, mai uniformi. Ma pesano: possono decidere uno scudetto o una retrocessione, la qualificazione ad una coppa o l'esclusione dalla medesima. Possono decidere il successo o il fallimento di una delle venti aziende che formano la serie A.
Il calcio ha bisogno di riforme. 100 società professionistiche, testimoniano di come il clientelismo politico e sociale sia dilagato nel mondo del calcio, nei corso dei decenni, a dismisura. I tagli sono indispensabili. Nelle serie minori fino alla serie A. Chi eccepisce dimentica (colpevolmente) che il massimo torneo era a 16 squadre. Poi portato a 18. E infine "con il favore delle tenebre e con un vero colpo di mano" a 20. Ma per realizzare le riforme, servirebbe una revisione di quanto nei decenni è accaduto. Servirebbe una relazione di "verità". Facendo pulizia di quante porcherie il sistema ha agevolato, organizzato, tollerato non infrequentemente con la complicità della giustizia e dei media. Con la complicità della politica. Non è un mondo di mammolette quello del calcio: nessuno profuma di bucato. E chi rivendica il proprio afrore solitamente evita acqua, bruca e sapone come la peste.
La Juve ha pareggiato contro l'Empoli perché ha disputato una gara modesta. Allegri non può essere una settimana più bravo di Pozzo e quella dopo un pippone. Non mi dilungo sulle scelte di Allegri. Mi dilungo sulla filosofia societaria in questa stagione. Il passivo di bilancio è pesante. E la Juventus diventerà "altro" rispetto al passato... La proprietà per questa stagione non ha messo in previsione lo scudetto. Lo aveva spiegato Allegri, parlando di quarto posto. Se avessero cambiato idea Giuntoli avrebbe operato sul mercato per rinforzare un centrocampo oggettivamente debole. Non giudico le mosse della proprietà. Ma un eventuale scudetto sarebbe una jattura. Sarebbe il giusto trionfo per Allegri, ma economicamente metterebbe la proprietà in difficoltà. Gli introiti (nazionali e continentali) verrebbero subito bruciati per rinforzare una squadra che in Europa, oggettivamente, oggi non potrebbe competere, senza poter incidere sul risanamento.
La Juventus era la "fidanzata d'Italia". Oggi non lo è più. Il tifo è identità. E nel tempo, per varie responsabilità, questa identità (il bene più prezioso) è andata svanendo. Oggi i tifosi sanno che la Juventus "vende" più che
"comprare. E sanno che sarebbe disponibile a "patteggiare" anche sul colore della carta igienica dei servizi sanitari dell'Allianz. La Juventus nella stanza dei bottoni, neppure arriva nelle vicinanze, del "bottone". A differenza degli abili rappresentanti di altri club. Esempio: il servizio di Filippo Roma. Ascolti e rimani basito. E allora ti chiedi: cui prodest? I peggiori pensieri si fanno strada visto che la Juventus è rimasta in silenzio.
Poi leggi Andrea Agnelli e fai di conto. Se Agnelli afferma che potrebbe "tornare" significa che qualcuno sarebbe in grado di finanziarlo per rilevare da Elkan la Juventus. Traduzione: Superlega in arrivo. E allora anche quell'investimento mostruoso di Florentino su Mbappe comincia ad avere una ratio. Ceferin rantola (vedi dimissioni di Boban), Gravina discuterà di riforme a breve. Ma la sensazione è che alla fine si arriverà ad un compromesso al ribasso e la montagna partorirà un topolino. Gli ottimati del calcio non le vogliono le riforme. Vogliono mantenere i magliari sistemi che da decenni gli consentono di governare l'Azienda calcio. Cercano una vincita al "gratta e vinci" (non è colpa mia se così si chiama) di qualche paese islamico. Anche calpestando diritti ed etica. E persino la memoria di un calciatore simbolo. Fiorentina – Inter. Segna Lautaro, La Fiorentina sbaglia un rigore. È l'annata dell'Inter. Var o non Var: sempre Var.
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