Dicono che la Juve ha vinto "solo" a tempo scaduto. L'Inter invece? Almeno la Juve non ha "rubato"
Vi ammiro: voi, giocatori che giocate, allenatori che allenate, dirigenti che spendete. Ammiro voi colleghi che commentate e scrivete. Ammiro voi tifosi che andate allo stadio. Vi ammiro perché, nonostante anche voi abbiate capito come finirà, continuate a far sì che l'immane schifezza italica vesta un abito credibile. Un allenatore che ci ha lasciati, quando ero un giovane cronista sportivo, mi disse: “A seconda dell'arbitro che mi mandano lo so prima di scendere in campo se perderò o vincerò”. Oggi con la tecnologia, i mille replay, le mille telecamere non dovrebbe essere così. Purtroppo è peggio di una volta quando in campo c'erano un arbitro e due soli assistenti. Neppure un “quarto uomo per chiaccherar”, mutuando i versi di una delle più celebri canzoni italiane.
Non starò qui a commentare l'ennesimo episodio. Gli errori arbitrali ci sono sempre stati. E continueranno ad esserci. La vergogna è che qualcuno vi abbia fatto credere che la tecnologia avrebbe risolto i problemi: non è così. A non credere agli errori, per primi, sono gli addetti ai lavori. Le parole di un direttore sportivo, nel post gara, sono state di una pesantezza mai udita: “Probabilmente, qualcuno più alto del Var ha deciso dovesse andare così”. Non starò a segnalare quanto tutti conoscete. Ma forse vi è sfuggita la mascalzonata di uno che è andato a “scavare” (non visto, ovviamente) sul dischetto del rigore prima dell'esecuzione. Una volta usavano i limoni. Il primo fu uno – negli anni Cinquanta - della medesima banda. Buca truffaldina e rigore fallito. Dopo la Supercoppa elimineranno ogni buca. Anche quella: alegher, dicono, almeno dicevano da quelle parti. Se gli errori penalizzano tutti, i “favori“ stanno andando a senso unico. Non serve ipotizzare complotti: basta attenersi alla realtà. Spiega Agatha: “Un indizio è solo un indizio, due indizi sono due indizi: tre sono una prova“. Spingeranno chi devono spingere fino a rompergli, fosse necessario, il: vabbè, avete capito. Vietato sperare in una “giustizia imparziale“. Quella “giustizia“ a porgli certe domande, se la ride. E ride in faccia a chi le pone.
“Domani è un altro giorno“ dice Rossella O'Hara in “Via col vento“. Nel calcio, domani c'è sempre un'altra partita. All'interno dell'immenso “panino“ televisivo costruito per rincoglionirvi evitando di farvi pensare. Chiedetevi solo: perché in altri paesi, calcisticamente evoluti, le polemiche siano una eccezione. E in Italia, viceversa, siano all'ordine del giorno. Forse perché in quei paesi le istituzioni calcistiche sono serie. Forse perché quelle istituzioni hanno a cuore il “prodotto“ e non il proprio “particulare“. Forse perché quelle istituzioni non sono disponibili a stipulare “patti con diavolo“. C'è più equità in una partitella di ragazzini in strada con le porte segnate dagli zainetti e regole ispirate al buon senso che nella direzione di un arbitro professionista. La Befana vien di notte: a qualcuno nella calza ha infilato carbone, ad altri capi firmati: made in China.
Come uscirne? Cambiando il protocollo e annullando “l'intelligenza arbitrale“. Cambiare: magari mettendo alla Nasa di Lainate dei tecnici informatici. Due tecnici già presenziano: il problema è che al monitor ci sono anche gli arbitri. Il Var deve SOLO segnalare. Non deve interpretare, non deve “valutare l'intensità“. Visto che le partite non possono (almeno non dovrebbero) durare ore, l'unica è quella che da anni sto proponendo: chiamata ad personam da parte di allenatori o giocatori in campo. Due, al massimo tre, per tempo. Lo fanno nel basket, lo fanno nel tennis e le polemiche si sono quasi azzerate. Perché non lo fanno nel calcio? Perché gli arbitri aspirano a fare carriera. E il Var è un veicolo per farla. Ma niente accadrà. So come ragiona il gattopardo: a premergli è l'alternanza. Quindi chi ha fatto in passato, troppa strada, deve restare fermo per qualche “giro“. Vietato rompere gli “zebedei“: si può tornare in un amen alla casella di partenza del Monopoli giustizialista.
Mi tengo il calcio di un tempo. Questo mi disgusta. Mi tengo Gianlucaccio che resterà un simbolo. Mi tengo Mario Zagallo che nel 1958 non scaldava i cuori ma che fu basilare per la vittoria di quel Brasile al pari di Didi, Vava, Pelè. Non finì cantato dal Quartetto Cetra, ma credo non si sia risentito: neppure Manè Garrincha finì sul pentagramma. Vi lascio ai “moralizzatori“ senza vergogna, sodali dei monopolisti. Che comprano tutto: alberghi, calciatori, cariche, case, sfere gold. E l'avreste mai detto? Anche i giornalisti. Mi tengo la Juventus femminile che porta a casa la Supercoppa con bravura e pragmatismo. Ha vinto Madama, a Salerno. “Al novantunesimo“ ripetono in tv fino all'ossessione. E con “sofferenza“. Certo: la Juventus ha sofferto. Rispolverati i luoghi comuni sul “non gioco“ di Allegri. Se la Juve non pialla gli avversari ecco che è “brava, sì, però“.
La Juve ha vinto contro l'ultima in classifica sola alla fine. Di grazia a quale minuto ha vinto “l'altra“ nella gara della vergogna? Differenza? La Juve non ha “rubato“. Distacco immutato in classifica. Ma non c'è da festeggiare. Vittoria che non servirà. Hanno già deciso. “Colà dove si puote“. Il gattopardo non brilla per l'eccellenza delle letture, ma questa certamente la conosce. Io non ci credo più. Ma se voi ci credete ancora, io mi tolgo il cappello e ripeto: “vi ammiro“.
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