A Monza per un Natale bianconero felice e sorprendente
Il Natale, la festività più felice dell’anno, è alle porte; cerchiamo quindi di cogliere forte i segnali sorprendentemente positivi e facciamoli fruttare il più possibile. La felicità spesso è piccola, ordinaria, discreta, semplice. Servono solo occhi buoni per vederla, e animo leggero per provarla. L’aggettivo felice, dal latino felix, deriva dalla stessa radice verbale indoeuropea di fecundus, che significa fertile, produttivo. Fertili non sono solo i campi di grano appena arati; fecondi siamo anche noi, che grazie alla felicità possiamo sorprenderci a compiere gesti spontanei che mai avremmo immaginato prima, a sorridere, a sognare. Senofonte scrisse nell’Educazione di Ciro che è più difficile trovare un uomo che sappia sopportare la felicità che l’infelicità; ma è pur vero che prima di buttare via tutto e di fare le valigie per fiondarci alla ricerca di chissà chi o di chissà cosa, ricordiamoci di guardare bene intorno.
La goleada al Cagliari ha ridato quell’entusiasmo che da troppe settimane mancava all’ambiente bianconero, ha regalato un pizzico di felicità ai tifosi e spero anche ai calciatori, spesso soltanto freddi esecutori del loro mestiere. Del resto, come ebbe a dire Theodor Adorno, nessuna arte ci sarebbe senza il ricordo delle sofferenze umane, e quindi anche la felicità si può apprendere e approfondire grazie al dolore. Ebbene, per un tifoso di una squadra tanto gloriosa come la Juventus, dieci scialbi pareggi - con le dovute proporzioni rispetto a quelle cui si riferiva il filosofo tedesco - sono stati un vero e proprio supplizio.
Non credo di esagerare usando il termine felicità. Essere felici non significa non avere problemi, contrattempi e vivere un imperturbabile stato di quiete. La felicità è invece l’opposto: è l’energia dell’agire, la gioia di fare, la voglia di cambiare, di essere vivi e dunque fertili, di veder sbocciare i fiori che siamo. Una Juventus sorprendentemente mutata e vincente, strappata dal lamento, prima che scivolasse pericolosamente ancora più giù nel burrone della mestizia, se il portierone Di Gregorio non avesse salvato la sua porta dopo una manciata di secondi! Una Juventus quindi nuovamente tendente verso il brio e verso l’alto, come le bollicine che giocano a rincorrersi in una coppa di champagne. La larga vittoria ha dato un taglio netto alla scontentezza, una vera e propria sorpresa - visti i precedenti -, e non c’è sorpresa più bella di una vittoria che esplode nel sorriso più leggero di una piccola felicità raggiunta. Vi sono momenti minuscoli di felicità, e sono quelli durante i quali si dimenticano le cose brutte. La felicità è fatta di attimi di dimenticanza. Arriva all’improvviso e all’improvviso se ne va, come un miracolo. Salvifica e precaria, la felicità. Salvifica perché precaria, la felicità. E preziosa, da amare e custodire, perché ci aiuti a illuminare i momenti in cui essa viene meno. Bisogna essere quasi un artista per essere felici, per riuscire a far propri quegli attimi. E proprio così la pensava anche René Magritte, famoso pittore surrealista belga, - soprannominato “le saboteur tranquille” per la sua abilità di riuscire ad insinuare dubbi sulla realtà – quando scriveva che «il mondo è così totalmente e meravigliosamente privo di senso che riuscire ad essere felici non è fortuna è arte allo stato puro».
E allora dopo l’altisonante 4 a 0 contro il Cagliari, fingiamoci tutti artisti (a Natale si può!), aspettando positivi la trasferta di Monza, ricordando simpaticamente il grande Nino Manfredi, quando nella mitica Canzonissima del 1959 interpretava il barista di Ceccano, al quale faceva esclamare a mo’ di tormentone questa sempreverde battuta: “Fusse che fusse la vorta bbona”; proprio così, per ricominciare a vincere e sorprendentemente prolungare il più possibile quell’attimo chiamato felicità.
Questo il mio augurio natalizio. A questo punto non ci resta che chiedere per iscritto tutto questo ad un vecchio di nome Nicola. La letterina a Babbo Natale è sempre meglio farla che non farla. E se venisse per davvero? Se la preghiera, il desiderio espresso così, più che altro per gioco venisse preso sul serio? Se il regno della fiaba e del mistero si avverasse?
Auguro a chi non sogna un nuovo sogno. A chi non spera una nuova speranza. A chi odia la capacità di amare. Ritorniamo a credere che ogni candela sia una stella, e l’angelo dorato spieganti l’ali sulla grotta di Betlemme non solo una decorazione, ma un angelo. Che la stagione dell’eterna speranza entri nei vostri cuori.
Buon Natale cari Lettori.
Roberto De Frede
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