Chiedi cosa era Juventus-Inter...
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Chi erano i Beatles? Già, i Beatles, quei quattro di Liverpool degli anni '60 di cui bene o male si ritorna sempre a parlare. Gli Stadio nel 1985 lanciano una canzone Chiedi chi erano i Beatles scritta da Gaetano Curreri su un testo del poeta Roberto Roversi. Il brano è tutto giocato sul contrasto tra generazioni diverse: da una parte i suggerimenti per una riflessione sulle emozioni forti del passato e sui ricordi accesi che ha lasciato e dall'altra "la ragazzina di 15 anni di età con gli occhiali e con la vocina" che, per capire tante cose di sé e di un passato che non conosce perché non l'ha vissuto, sarebbe meglio che chiedesse a qualcuno "chi erano i Beatles", per comprendere al meglio l’oggi e viverlo senza paura. Una metafora del tempo che passa, ma il tempo – lui - non invecchia, scorre soltanto. L’impressione è che oggi molti, ahimè compresi i giocatori pronti per la disfida serale sul verde prato dell’Allianz, non sanno e non chiedono, rischiando fortemente di minimizzare la storia e le emozioni, svalutando il presente.
Un tale si trovò a sorvolare lo specchio d’acque dove nel 480 a.C. ebbe luogo la battaglia di Salamina tra greci e persiani. Vi gettò un'ironica occhiata dal finestrino dell'aeroplano e annotò seccamente sul taccuino: «macché battaglia navale! In quel catino può esserci stata al massimo una zuffa tra barcaioli». Se poi al nostro immaginario cronista fosse toccato di salire su una macchina del tempo, con comandi regolati in modo da permettergli di assistere alle fasi cruciali della guerra di Troia, le sue impressioni di viaggio sarebbero state ancora più caustiche. Avrebbe con ogni probabilità riferito di aver potuto assistere a tutta una serie di risse scomposte, basate semplicemente sulla forza bruta, in cui individui piuttosto sudici e succintamente vestiti cercavano di colpirsi con armi proprie e improprie, non esitando perfino a ricorrere ai sassi. Eppure la battaglia di Salamina era sembrata a Eschilo e a Erodoto un fatto così eccezionale che per celebrarla il primo compose una tragedia, I persiani, mentre il secondo scrisse addirittura nove libri di Storie - impresa senza precedenti, o quasi, a quei tempi - per dimostrare come proprio tale scontro navale fosse stato il momento più importante della storia della Grecia, altro che zuffa tra rematori! La guerra di Troia, da parte sua, ispirò a Omero I’Iliade e l'Odissea. Così, grazie al fascino che ancor oggi esercitano queste opere, tra le rovine di Troia e lungo le coste di Salamina, gesta d’eroi ed emozioni vivono a distanza di millenni nella nostra mente.
Il derby d’Italia non è una scaramuccia tra nocchieri, né una baruffa tra pedine in mutande. Juventus-Inter non è una fotografia dall’alto, bensì un’immagine epica dell’anima.
Chi crede sia soltanto una partita in cui un manipolo di giovani scalmanati corrono dietro a una palla, azzuffandosi in piccole risse nelle varie zolle del campo, cercando di portare punti e soldi al proprio mulino, non ha capito niente del calcio e non solo del calcio. In questo modo la si gioca o la si guarda semplicemente, come si può perdere o vincere in borsa o osservare uno spettacolo replicato a teatro chissà quante volte, ma non la si vive, perché non sapendo, nulla si sente sulla propria pelle, lasciando disperso dietro di sé il bagaglio più prezioso: i colori, le forme, le note, i sapori, l’età, la storia, le emozioni. Chissà, forse basterebbe chiedere cosa era Juventus-Inter…
Juventus-Inter non potrà mai essere soltanto un qualcosa di calcistico, normale, calcolato, freddo, già visto, ripetitivo, amorfo; non sarà mai una prosa per lettere commerciali. Juventus-Inter è quando il gioco si trasforma in sfida, i lanci in sciabolate traccianti fuoco di passione, i terzini in scudieri in supporto della cavalleria posta al centro dello schieramento, i centravanti in cannonieri; è quando il capitano, quello vero, al triplice fischio della contesa, avvolto nelle insegne patrie dei colori bianconeri, che non saranno mai più macchiate dalla sconfitta, viene portato in trionfo alzando per tutti le sue braccia al cielo della gloria. Pura essenza poetica per l’esametro di Omero, per il docmio di Eschilo, per l’endecasillabo di Dante e per l’ottava d’oro dell’Ariosto.
Come si farebbe a raccontare, se non con questi aulici ed immortali versi, quel giorno dell’Epifania del 1952 quando al Comunale di Torino il danese John Hansen rilancia in attacco il pallone di almeno sessanta metri, il suo connazionale Praest scatta, doma la sfera con il suo ineffabile tocco di esterno, distende la falcata, prima del tackle evita Blason e Giovannini, ormai in area dribbla con stretti tocchi Neri, infine conclude con un tiro di destro irresistibile per il pur bravo portierone nerazzurro Ghezzi. Stessa gloriosa sorte poetica, l’ultima apparizione di Boniperti in quel 9 a 1 del 1961, quando in quel caldo sabato torinese il marcatore di Sivori, tale Giuseppe Morosi, che sognava di ripresentarsi al suo paesello dopo aver bloccato il fuoriclasse argentino, se ne tornò disperato, tra nausea e giramenti di testa. Omar, futuro pallone d’oro, ne fece sei di gol. E cosa dire della tripletta a Lido Vieri del barone Causio nell’aprile del 1972, lanciando la Juventus verso il quattordicesimo tricolore, mentre le radio facevano sognare con Imagine di John Lennon e My World dei Bee Gees e della stoccata degna di D’Artagnan inflitta da Michel Platini all’Uomo Ragno, alias Zenga, in un nevoso dicembre del 1983. Al Delle Alpi, il 26 aprile 1998, mentre i prosaici ricorderanno la pantomima tra Ronaldo e Iuliano, i poeti rimembreranno senza fine il gol tricolore di Alessandro Del Piero a Pagliuca, dopo aver letteralmente annichilito con una finta irreale in area di rigore il difensore interista Fresi. Al tempo di un covidiano Allianz, nel giorno della festa delle donne, Paulo Dybala, il mago, fa scomparire il pallone per qualche istante e lo fa ritornare sulla terra alle spalle di Handanovic. Pochi frammenti poetici che forse fanno riflettere sull’essenza della partita di stasera.
Diciamo la verità il calcio italiano se non ci fosse Juventus-Inter sarebbe meno bello e certamente più povero di versi e di poesia.
Ma allora cos’era Juventus-Inter? «Era quando di notte si sognavano città che non avevano mai fine/si sentivano tante voci cantare e laggiù gente rispondeva e io nuotavo tra onde di sole e camminano nel cielo del mare». Era una bella cosa. Brividi di un tempo senza clessidra.
Lo è ancora per me, - io che ho chiesto cosa era Juventus-Inter - e stasera dunque c’è una bella cosa. Gli undici bianconeri chiedessero stamattina stessa cosa era Juventus-Inter, perché per arrivare alla gloria è necessario saperlo e non scordarsi mai quel bagaglio di frammenti d’arcobaleno nell’oblio dell’ignoranza e dell’indifferenza.
Roberto De Frede
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