Cercasi disperatamente Enea in bianconero
Una volta che hai detto che ti va bene anche piazzarti al secondo posto, è proprio quello che ti capita. Questa frase è attribuita a John Fitzgerald Kennedy e sembra calzare a pennello con quanto sta accadendo alla classifica della Juventus. L’obiettivo dichiarato ufficialmente sin dall’inizio della stagione, quasi a mo’ di tormentone, era quello di un piazzamento per accedere alla prossima Champions? Ebbene pian pianino la meta è quasi raggiunta, anche perché nella peggiore delle ipotesi, pur scivolando al quarto posto, il bersaglio stagionale sarebbe centrato. Per ora siamo al terzo. C’è tempo. L’accontentarsi assume una connotazione negativa non solo quando equivale a non avere traguardi a cui puntare, ma anche quando quelli prefissati non sono coronati d’alloro. Quasi sempre accontentarsi nello sport, ma anche nella vita, è un patteggiare con la sconfitta. La Juventus non deve farlo mai, almeno per le cose riguardanti il puro rettangolo verde, e per questo servono come l’acqua nel deserto, uomini dalle spalle d’acciaio!
La Juventus deve assolutamente trovare un nuovo Enea, l’eroe troiano che mentre la sua città bruciava, prese sulle sue spalle il vecchio padre Anchise per salvarlo e portarlo via con sé, cominciando nuove gloriose gesta.
Detto tra noi, e fa male ribadirlo, Allegri torto non aveva. Il mister ha capito subito che a questa Juve mancava non solo il centrocampo, falcidiato dalle sciagurate vicende di Pogba e Fagioli, ma tanto di più. Orfana dell’elemento essenziale per vincere: calciatori con una grande anima tale da prendersi sulle spalle squadra e responsabilità nei momenti difficili, ovvero dal misero pareggio con l’Empoli sino ad oggi! Difetta di una voce rassicurante, decisa, un personaggio che ispiri non solo fiducia ma anche carisma, determinazione, la voglia di mettere il petto in fuori e affrontare qualsiasi tipo di sfida, indipendentemente dal fatto che possa in apparenza sembrare insuperabile.
Ci sono giocatori che incrementano il livello della propria personalità con l'esercizio e con l'esperienza. E ci sono quelli che, invece, nascono con il dono del carisma. Non hanno bisogno di alchimie particolari, né di tanti giri di parole: sono sicuri di sé in ogni circostanza, riescono a controllare le emozioni e la tensione, infondono tranquillità agli altri solo a guardarli. Giocatori questi che valgono quanto uno che organizza il gioco della squadra come se stesse osservando tutto il campo dalla più alta torre dello stadio. Oggi alla Juventus non ce n’è uno che assomigli lontanamente a quelli sopra abbozzati. Negli anni Quaranta, c’era un giocatore che racchiudeva in sè tutte queste caratteristiche. Al Filadelfia il Grande Torino strapazzava gli avversari e quando capitava una domenica storta, Valentino Mazzola guardava verso le tribune e con un cenno invitava il trombettiere dello stadio, Oreste Bolmida, a suonare la carica. Il capitano si prendeva la squadra sulle sue spalle, si arrotolava le maniche all’altezza del gomito e partiva il quarto d’ora granata, quindici minuti di incredibile foga agonistica per rimontare e piegare qualsiasi avversario, con gol a grappoli, vincendo partite che tutti avrebbero dato per perse.
Mark Twain obietterebbe dicendomi: cerchiamo di non essere troppo esigenti, è meglio possedere diamanti di seconda scelta che non possederne affatto. Gli risponderei non senza amarezza che a stento si scorgono all’Allianz pietruzze di grezzo sale grosso, quello utilizzato per la conservazione di acciughe e sardine. Lo spogliatoio è privo di gente dalle spalle larghe, virtù che non è mai mancata nella storia bianconera e che nei momenti complicati, con la loro personalità fuori e dentro il campo, hanno ridato luce e vittorie: Boniperti, Salvadore, Furino, Zoff, Scirea, Del Piero, Montero, Buffon, Barzagli e Chiellini, solo per citarne una minima parte, non me ne vogliano gli altri numerosissimi qui non menzionati. Senza calciatori di tal spirito è difficile ricreare una leggenda. Non tanto la sua doppietta, ma se non ci fosse stato l’uomo Gianluca Vialli in quel pomeriggio del 4 dicembre 1994, probabilmente la Fiorentina avrebbe vinto due a zero al Delle Alpi, Del Piero non avrebbe segnato il gol più bello della sua carriera e nessuna rinascita bianconera dopo anni di digiuno ci sarebbe stata! Invece il capitano divenne il trombettiere che diede la carica, e cominciò la nuova era trionfale della Juventus, quella targata Lippi.
Enea è un uomo fra passato, presente e futuro. Non solo eroe fondatore di città o valoroso condottiero, ma anche semplicemente uomo che con fatica tenta di salvare il patrimonio che ha avuto in eredità e nel contempo cerca di ricostruire tra mille incertezze il suo futuro. È dotato di pietas, di quel valore che consiste nel fare le cose come si deve, cercare di farle bene e rispettare quello che ci è stato consegnato da chi ci ha preceduto.
Che vesta di bianconero quanto prima un calciatore pius, possibilmente senza peregrinazioni prima a Cartagine da Didone; anzi se la società o chi fa le sue veci ne trovasse un paio di pii sarebbe ancora meglio: personaggi, campioni dalle spalle larghe e dai piedi d’oro che, nonostante le caotiche difficoltà, riuscirebbero a conservare una dignità e unità, sia pure esclusivamente basate sul puro e semplice dovere di rispettare la Juventus, non solo patrimonio di storie, leggende e vittorie, ma soprattutto scrigno di emozioni infinite per tutti i tifosi, da rinnovare nei tempi che verranno.
Roberto De Frede
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