Lipari (mental coach) a BN: "Seguo un ragazzo della Next Gen con il metodo MENTOR. Ecco cosa farei se Motta lo chiamasse in Prima Squadra"

Lipari (mental coach) a BN: "Seguo un ragazzo della Next Gen con il metodo MENTOR. Ecco cosa farei se Motta lo chiamasse in Prima Squadra"TUTTOmercatoWEB.com
© foto di Paolo Baratto/Grigionline.com
Oggi alle 14:00Primo piano
di Matteo Barile
Il mental coach ai microfoni di Bianconera News: "Vi spiego il mio metodo, che si basa sulla prestazione e sulla motivazione..."

Solitamente il calcio è uno sport fatto di intuizioni tattiche e di gesti tecnici, che possono cambiare le partite e le stagioni. Come accade spesso nella vita, però, anche l’aspetto psicologico fa la sua parte. E che parte, ci verrebbe da dire! Spesso si pensa che siano i risultati a determinare il giusto approccio mentale, ma, in realtà, non è proprio così. È la psiche il “motore” che porta un atleta o una squadra al successo. Per accendere questo “motore” serve un procedimento che ha bisogno della “chiave” giusta e del “pilota” affidabile per poter funzionare. Lo sa bene Francesco Lipari. Laureato in Risorse Umane, ha deciso di intraprendere la carriera da mental coach, che lo ha portato alla Juventus. Grazie alla collaborazione con il noto mental coach bianconero, Giuseppe Vercelli, ha potuto apprendere un metodo fondamentale per tutti coloro che vogliono affrontare un percorso psicologico. Ogni riferimento verte verso il metodo S.F.E.R.A., da cui è nato il suo metodo sperimentale MENTOR. Si tratta di due percorsi paralleli, che stanno tornando utili a diversi atleti attualmente sotto la sua “ala”. Uno di questi è un calciatore della Juventus Next Gen, che sta seguendo attraverso un lavoro svelato in ESCLUSIVA ai microfoni di Bianconera News.

Come nasce il tuo aspetto professionale di mental coaching associato al calcio?

Questa mia passione per quanto riguarda il mental coaching nasce proprio dal calcio. Io sono un calciatore dilettante, ma, in generale, ho sempre seguito lo sport. Mi sono laureato in risorse umane e vedevo che nelle aziende la figura del mental coach è molto, molto presente. Quindi ho pensato: perché specializzarmi per ricoprire questo ruolo? Da lì è nata ho cominciato a prendere informazioni sulle varie scuole che sono specializzate per questo tipo di mansione. Tra le varie ricerche effettuate ho trovato quella di Giuseppe Vercelli che poi è il mental coach ufficiale della Juventus”.

Come mai il calcio viene visto come lo sport “principale” su cui l’attività di mental coaching può fare la differenza?

In realtà, il calciatore deve avere un team che lo sostiene individualmente. Ne parlo sempre coi ragazzi che seguo. Nonostante sia uno sport di squadra, è solo quando deve fare fronte a determinate situazioni personali che si possono verificare durante la propria carriera calcistica”.

La tua introduzione professionale all'interno del mondo del calcio da mental coach si manifesta attraverso una collaborazione che hai avuto con il professor Giuseppe Vercelli, che ti ha portato a prendere le redini “psicologiche” della Juventus Next Gen. Come mai hai deciso di lavorare con ragazzi più giovani?

Anzitutto, ci tengo a premettere che Giuseppe Vercelli mi ha insegnato il metodo S.F.E.R.A., che forse è il miglior strumento utilizzato in Italia nell’ambito del mental coaching in Italia. È fondamentale per intraprendere un percorso. Io collaboro con un ragazzo che gioca nella Juve Next Gen, che non posso rivelare per ragioni di privacy. Ha richiesto il mio supporto in un periodo particolare della propria carriera. Quando hai 17/18/19 anni si parla tanto di talento e di gestione del talento. È proprio quello il momento più importante per un ragazzo. Perché? Perché è il momento in cui si può fare il passo in avanti per cercare di arrivare e affermarsi in Prima Squadra e quindi giocare in Prima Squadra”.

Il metodo S.F.E.R.A. del dott.Giuseppe Vercelli ha permesso di plasmare anche la tua base lavorativa attualmente in fase di lavorazione: parliamo del metodo MENTOR. In cosa si differenzia rispetto al metodo S.F.E.R.A.?

Il metodo S.F.E.R.A si basa sul concetto di pianificazione e conoscenza di sé stessi, per poi andare a lavorare su quello che è l'obiettivo. Col metodo MENTOR sto cercando assolutamente di fare esprimere i ragazzi per quelli che sono, attraverso i loro talenti nascosti anche in termini di motivazioni. Se con il metodo S.F.E.R.A. ci andiamo a basare sugli elementi di sincronia e sui punti di forza e di energia, col metodo MENTOR parliamo di mettere il cuore oltre l'ostacolo e di andare a superare situazioni difficili nella propria carriera, come può essere il recupero da un infortunio o come possono essere obiettivi singoli e di squadra. È un metodo più incentrato sul concetto motivazionale”.

Con il giocatore della Next Gen, con cui stai collaborando, hai impostato il percorso, basandoti sul metodo S.F.E.R.A. per poi, diciamo così, attuare il tuo metodo?

Con lui stiamo lavorando su una fase ancora iniziale di pianificazione, quindi iniziale. Per prima cosa è importante per il ragazzo andare a conoscere semplice di sé stesso e quelli che sono i propri limiti per poi superarli. C’è ancora del lavoro da fare. Abbiamo quattro fasi di lavoro da consolidare: quella della pianificazione, quella dell'azione, quella del controllo e quella del mantenimento”.

Questo metodo è in fase di sviluppo, ma a che livello si trova in questo momento? Quanti passaggi servono ancora per poterlo consolidare e renderlo basico come il metodo S.F.E.R.A.?

Il metodo è sempre a fase di sviluppo perché, studiando e informandosi si viene sempre a contatto con delle novità e dei dettagli che si possono aggiungere. Quindi in realtà molto probabilmente non ci sarà mai una fase finale. È un cantiere aperto fatto di idee, di studio, di informazioni e di confronto, perché, quando si parla con i ragazzi, soprattutto quelli più giovani, si impara tanto. Ognuno di loro ti lascia qualcosa di importante, che poi tu puoi aggiungere piano piano all'interno del tuo metodo”.

Quali sono le attività che svolgi con il ragazzo della Next Gen che segui?

Allora sicuramente gli incontri vengono fatti face to face, anche in video call. In questi incontri andiamo a parlare della settimana o, comunque, del periodo su cui stiamo lavorando. Diciamo che il tipo di lavoro che io vado a svolgere è un lavoro basato su alcuni esercizi. Questi esercizi possono essere effettuati semplicemente a livello teorico, quindi anche con carta e penna attraverso degli schemi da dover andare a compilare o comunque dei tipi di attività mentali da dover attuare, ma anche attraverso degli esercizi pratici. Si parla di comfort zone, si parla di respirazione, di autocontrollo, di resilienza, di obiettivi. Tutti aspetti che ci si prefigge non solo nello sport, ma anche nella vita. Porto a modificare alcuni elementi appartenenti alla vita quotidiana dei ragazzi per poi proporli in campo farglieli notare. Ad esempio, mi è capitato di parlare con un altro ragazzo che sto seguendo e che gioca nella Primavera della Salernitana. In un primo appuntamento abbiamo lavorato sull'attivazione e la sincronia che si basa sulla mente e il corpo con un semplice esercizio fatto in casa, nella fattispecie quello della camminata. Quando gliel'ho fatto fare la prima volta lui non si è reso conto che la sua mente e il suo corpo erano collegati, quando l'ha fatto la seconda volta, senza che gli dicessi niente, mi ha detto ‘Wow, questa volta la mente e il corpo si sono collegati automaticamente’”.

Questi esercizi hanno poi una riflessione sul rendimento in campo e possono contribuire in un certo senso alla crescita anche del rendimento sportivo. Ti chiedo questo, però: quanto, invece, il momento collettivo di una squadra può influire sulla psiche e sulla prestazione di un ragazzo e sul lavoro di mental coaching?

Essendo il calcio uno sport di squadra, i compagni di squadra possono ampiamente influire su quello che riguarda l'obiettivo definito dal ragazzo. Di fatto una premessa importante che io faccio sempre ai ragazzi, perché comunque la figura del Mental Coach lavora sull'obiettivo. Quando un ragazzo viene da me e mi dice che il suo obiettivo stagionale è di fare 25 presenze, io gli dico che sta formulando il suo scopo in maniera scorretta. Quando andiamo a definire un obiettivo insieme ai ragazzi, mi incentro sulla prestazione, che può dipendere da sé stesso e non più dal risultato, il quale, invece, può dipendere dall'andamento della squadra. Quindi sicuramente la squadra può influire tantissimo sulle condizioni mentali o comunque fisiche di un ragazzo, che non ha un obiettivo ben concretizzato. Mentre se tu hai un obiettivo basato sulla prestazione e non sul risultato, anche l'andamento della squadra potrebbe limitare la parte mentale del giovane”.

Venendo nel concreto, quale obiettivo si è dato attraverso questo percorso il ragazzo, che stai seguendo nella Next Gen? Il suo obiettivo è completamente incentrato sulla crescita delle sue prestazioni? Il suo lavoro psicologico si sta “alienando” dal contesto squadra, che non sta vivendo una grande stagione?

Sicuramente l'obiettivo del ragazzo, che sta lavorando con me, è basato su un obiettivo di prestazione e non sull'obiettivo di risultato. Però, attenzione! L’obiettivo è sì basato su sé stesso, ma su come lui risponde e come lui può dare il meglio di sé alla squadra. È questa la cosa principale, cioè quell'aiuto che lui può dare alla squadra è fondamentale. Per dare un aiuto fondamentale, devi stare bene con te stesso e devi stare bene con chi ti circonda. E il ragazzo, naturalmente, sta rispettando tutti i presupposti che si è imposto”.

Ti faccio questa domanda legata un po’ a doppio filo con la prima squadra. Ultimamente quest’ultima è un po’ in emergenza di uomini per via degli infortuni. Se Thiago Motta dovesse puntare sul ragazzo che stai seguendo puoi intervenire per dire a questo ragazzo che non è ancora pronto per fare il salto o il percorso intrapreso va incontro a un inevitabile stravolgimento?

A questa domanda ti posso rispondere dicendoti che non posso intervenire sulle scelte societarie. Il mio lavoro si basa su tutt'altra cosa, a me di quello che succede esternamente non deve toccare nulla. Io lavoro soltanto con quello che è il ragazzo e quelle che sono le perplessità e gli obiettivi del ragazzo. Parliamo di una scelta che non ricada assolutamente sulla mia figura, soprattutto se questa è una figura privata e non fa parte del club”.

Al giorno d'oggi la figura del mental coaching quanto è cresciuta in Italia a livello calcistico e quanto ancora ha bisogno di svilupparsi per poter essere un profilo ancora più rilevante anche all'interno di una stessa società di calcio?

Ha tanto da dare, però ha bisogno di persone come te. Perché? Perché sono persone che si interessano di questi temi, che sono importanti. Ancora oggi siamo in una fase iniziale, secondo me. Siamo veramente su una scala da 1 a 10, siamo su una scala che va dal 2° al 3° terzo livello. Ci vogliono giornalisti professionali come te, che abbiano voglia di diffondere questa tematica che va affrontata, a mio avviso, già nelle scuole calcio, non soltanto nelle squadre professionistiche come la Juve. Allo stesso tempo, però, sarebbe interessante formare anche gli allenatori sotto questo punto di vista. Questo potrebbe essere il passo per familiarizzare ancora di più questa figura agli occhi dei bambini e ragazzi. Quindi è necessario anche l’aiuto delle famiglie. Perché i bambini e i ragazzi, che si circondano della figura del mental coach, non sono malati. Hanno bisogno soltanto di un supporto, che hai li aiuti a guardare il mondo in un altro modo”.