Perché i Conte non tornano. Porte scorrevoli per la panchina bianconera
Nostalgia, nostalgia canaglia che ti prende proprio quando non vuoi, di una strada, di un amico, di un bar. Di un paese che sogna e che sbaglia ma se chiedi poi tutto ti da. Parole e musica di Albano Carrisi, buone per raccontare lo stato d’animo di Antonio Conte. Nostalgia dell’Italia, di una Serie A troppo spesso bistrattata e chissà, forse non sempre apprezzata dalla Vecchia Signora e dai suoi tifosi, spesso concentrati sull’Europa e sulla ipotetica conquista di quella benedetta Champions League.
Conte ha percepito i venti di rivoluzione che soffiano dalle parti della Continassa, ne ha fiutato il profumo acre ed al tempo stesso delicato. Tornare in bianconero significherebbe ripercorrere le orme degli antichi maestri Trapattoni e Lippi, che riabbracciarono Torino dopo le esperienze in nerazzurro. Un’idea romantica e razionale quella di Don Antonio, che si sposerebbe con i progetti di una Juventus alla ricerca dell’identità e dei successi perduti.
Il Conte di Londra fa venire in mente Giuseppe Mazzini. È malinconico, lontano dai suoi affetti, ha perso tre amici cari come Vialli, Mihajlovic e Ventrone. Come il patriota genovese assorbe l’esilio senza tollerarlo, prigioniero di una lunga insonnia. Al Tottenham ha avuto un rendimento bipolare, più fumo che arrosto per la verità. È stato - risultati alla mano - un ipotetico vincente, ed ha molte analogie con il Mazzini del romanzo di Sonia Morganti. A Torino potrebbe cavalcare l’onda delle delusioni dell’ultimo biennio bianconero targato Allegri e cogliere l’attimo prima che diventi fuggente.
Richiamarlo al posto del conte Max potrebbe portare benefici immediati, magari alla conquista dello scudetto. La capacità di Conte è quella emulare Re Mida e di trasformare in oro calciatori alla ricerca di se stessi. Due nomi per tutti, Bentancour e Kulusevski. Quanto durerebbe il Conte bis? Il tempo di far scattare la necessità di nuovi stimoli, troppo poco. Occorre un progetto più stabile, meno legato agli stati d’animo di un protagonista dal quale c’è da aspettarsi di tutto, anche il muro contro muro con la dirigenza.
Ecco allora che prende quota una filosofia che punti più alla gallina di domani piuttosto che all’uovo dell'oggi. Se rivoluzione ha da essere, meglio ripassare la storia e ripercorre le orme di quella francese. Le strade portano al quartiere Le Castellane di Marsiglia. Dove è nato e cresciuto Zinedine Zidane. Affidarsi a lui, al suo calcio multietnico che, dopo anni di lussi e coppe sulle sponde del Manzanarre, potrebbe condurre qualcosa di mai visto sulle rive del Po. Puntare su Zidane vorrebbe dire accantonare la minestra riscaldata di Conte, del quale si sa tutto.
Ripetere l’errore fatto con Allegri vorrebbe dire non solo non tenere conto della storia di oggi e di ieri, ma di accontentarsi di un film già visto. Ripetersi poi è sempre più difficile e al riguardo Allegri potrebbe tenere almeno tre conferenze. Salvo investimenti coraggiosi e rischiosi - De Zerbi o Grosso, é Zidane che può già accendere i motori. A meno che i giudici prendano tutt’altra direzione e allora sarà un altro bagno di sangue. Come nel 2006.
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