Una barzelletta in bianco e nero, ma solo in apparenza…

Una barzelletta in bianco e nero, ma solo in apparenza…TUTTOmercatoWEB.com
Oggi alle 00:01Editoriale
di Roberto De Frede
"La comicità è la percezione dell'opposto". (Umberto Eco)

Si comincia il girone di ritorno, bisogna ricominciare il viaggio. Sempre. Stavolta però non seguendo la poetica di José Saramago che invitava a ritornare sui passi già dati, per ripeterli, e per tracciarvi a fianco nuovi cammini. I passi del girone d’andata devono proprio andare, essere dimenticati e giammai rimembrato l’alibi dello zero nella casella delle sconfitte. È inutile non perdere quando non si vince. Ieri il derby. Pareggio a parte, ormai costante di mediocrità, la malinconia che m’abbraccia è totale. Forse è davvero il desiderio di idealizzare un passato che non ritorna più, ma quei Derby in cui il granata e il bianconero si contendevano l’orgoglio cittadino, non li ha idealizzati nessuno, sono stati loro stessi a entrare per sempre nella memoria storica e nell’anima di ognuno di noi. 

Per dir le cose che seguono, non c’è bisogno (purtroppo) di “saltellare”… e in fondo al pezzo, se avete la pazienza di leggerlo, comprenderete il motivo.

A farlo di proposito sarebbe stato impossibile. Le direttive bianconere degli ultimi tempi erano chiare e con orizzonti rosei. In primis, fondare la squadra sui giovani, una linea verde per vincere domani: venduti i ragazzi Miretti, Illing, Kaio Jorge, Barrenechea, Kean, Soulé, Huijsen e Chiesa (quest’ultimo, per onor del vero, ahimè mai ripresosi dal grave infortunio al ginocchio). In secundis, puntare su Fagioli, un baluardo in erba per un centrocampo di quantità e qualità: vuoi per problemi personali noti, vuoi perché forse campionissimo in realtà non è, è uscito fuori dai radar dell’allenatore. In terzo luogo, prendere un mister dal bel gioco, vincente e che non invocasse inutilmente la calma, bensì con l’ossessione della vittoria come impone il motto della squadra. Il gioco di Motta non può dirsi proprio un’opera d’arte, al momento perdente o per essere eufemisti, inutilmente pareggiante, ma di certo non vincente. Intanto anche lui come un livornese, dice di star calmi, senza la gorgia toscana ovviamente. Il concetto è lo stesso, con una differenza: quello di Livorno “ossessionato” vinceva con calma, questo al momento predica la calma, dispensa complimenti ai suoi, ma le vittorie sono rimaste strette a Morfeo, in un sonno profondo. In quarto luogo, un giocatore a mio avviso, come un tempo si diceva, universale, adattato anche a fare ottimamente il terzino sinistro, considerato insostituibile, Andrea Cambiaso, il migliore per distacco in tante partite, è diventato all’improvviso un panchinaro, alle spalle del povero McKennie che tutto è tranne che terzino sinistro. Ancora, chissà per quale recondito motivo, sono stati fatti fuori tutti i leader (Perin e Pinsoglio, ultimi sbriciolati senatorini, sono avvisati!), o almeno coloro che potevano trasmettere un po’ di juventinità a questo caotico gruppo, dulcis in fundo Danilo. In compenso, ogni settimana la fascia di capitano non trova pace e passa di braccio in braccio: un tempo chi veniva insignito di questo onere e onore la portava per tutta la vita bianconera! A Napoli ci si serve dell'espressione "E' gghiuta a pazziella ‘mmane e’ criature", ossia "È finito il giocattolo in mano ai bambini" per indicare l'uso inopportuno di una cosa di valore lasciata nelle mani di persone poco capaci. In più, che dire degli acquisti ultramilionari che avrebbero dovuto illuminare la zona mediana del campo, tanto martoriata negli ultimi anni. Quel brasiliano, che molti avevano paragonato nientedimeno che a Pirlo, Douglas Luiz, inguardabile sino ad oggi nonostante si sia presentato nel derby con una capigliatura biondo platino, e non più guardabile l’altro grande investimento, l’olandese, lontano parente acquisito di quello “volante” che vestiva la casacca dell’Atalanta. Ironia della sorte, Kalulu e Conceição, arrivati quasi per caso, si sono rivelati almeno utili alla causa. Per concludere questa breve rassegna solo apparentemente ironica, ricordo che dall’inizio della stagione c’è in società chi sbandiera ai quattro venti, vantandosene, di avere un centravanti di riserva pronto per far respirare un pochino Vlahovic o da affiancarlo nei momenti topici: il suo nome è Arkadiusz Milik, protagonista principe di “Chi l’ha visto”, il cui referto clinico è sempre in costante aggiornamento dall’estate scorsa.

Tutto questo potrebbe essere spunto per coloro che fanno del cabaret un’arte, della barzelletta un momento goliardico: trucioli però che soltanto in apparenza adatti a gag, freddure e sketch, perché sono fatti veri. Le storielle comiche sono frutto spesso di fantasia. Questa è cronaca, pertanto fa ridere a crepapelle soltanto gli avversari della Juventus, i franchi tiratori e i sabotatori.

Barzellette non sono purtroppo. Avrei tanto voluto scrivere tutto questo “saltellando”, sarebbero state invenzioni comiche, ma ero ben fermo sulla mia sedia alla scrivania. Quando non ci ricorderemo come va a finire la storiella comica con cui vogliamo risollevare le sorti di un pranzo natalizio in famiglia che dura più di un matrimonio, risolviamola così: mettiamoci tutti a ballare. Faremo un figurone. Non solo saremo più ridicoli della barzelletta stessa, ma stupiremo i presenti mostrando in atto, anzi in fieri, l’etimologia di questa parola. Badate bene, non è necessario avere il talento di Rudol'f Nureev, basta saltellare a casaccio di qui e di là con l’aggiunta del più smagliante dei sorrisi. Nelle sue varianti romanze balzeretta e balsolata, la derivazione della parola dal verbo balzellare è evidente. Così come lo è il motivo per il quale dovremmo metterci a saltellare come satiri quando raccontiamo un aneddoto comico.

Siamo onesti, lo sappiamo tutti fin troppo bene il perché. Non serve proprio nessuna laurea in filologia. Semplicemente, non esiste mistero più grande al mondo: eravamo pronti, ce la siamo ripetuti in testa cento volte ed eccoci lì a balbettare tra posate che tintinnano insieme agli sbadigli degli astanti, di solito vecchie zie sdentate e cuginetti che non aspettavano altro: “aspettate, aspettate, la so… …”. E non c'è spettacolo più tristemente grottesco.

Ecco dunque spiegato il bisogno di ricorrere a balzi, saltelli, piroette quando raccontiamo (anzi, proviamo a raccontare) una barzelletta, un fatto inventato per far divertire. Perché non abbiamo uno straccio d'idea di dove vada a parare e di come vada a finire. Quindi meglio distogliere l'attenzione, improvvisarci giullari e danzatori pur di far sobbalzare dal ridere chi soltanto volevamo far sorridere.

Purtroppo quello che sta accadendo alla Juventus non ha bisogno di invenzioni, né di fantasia, tantomeno di memoria, e quindi di saltellare per distrare l’attenzione men che meno: è la realtà dei fatti, visibile e indelebile anche per lo smemorato di Collegno. Gli Juventini veri, tanti, milioni, sono tristi, increduli, in attesa, senza saltellare, che la realtà ritorni seria e vincente, lasciando il comico ai teatri e non agli stadi.

Roberto De Frede