La grande illusione

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Oggi alle 00:01Editoriale
di Roberto De Frede
« – Tanto dovrà finire questa dannata guerra, no? E magari sarà anche l’ultima. – Ah, tu ti fai troppe illusioni vecchio mio». (dal film La Grande Illusione di Jean Renoir, 1937)


L’Europa è troppo per la Vecchia Signora, ormai confusa e indebolita. Tanto rumore per nulla, la Juventus nonostante le otto partite del catalogo champions autunno-inverno giocate alla men peggio è uscita dalla Coppa dei Campioni (lasciatemi passare questa dicitura romantica!) ai sedicesimi di finale, presa a pallate da modesti olandesi. Un fallimento. L’Italia, un tempo feudo bianconero, sta diventando una terra sempre più difficile da (ri)conquistare, nonostante la vittoria contro l’Inter. Ci aveva esaltati, ubriacati… purtroppo soltanto d’illusione.

La Grande Illusion rappresenta il tentativo, certamente riuscito, di Jean Renoir nel lontano 1937 di descrivere la guerra ed il suo carattere assurdo mettendone in primo piano il suo aspetto cortese. Nel film l’obiettivo non è puntato sul fenomeno bellico in quanto tale con relative barbarie e violenze, bensì sulle dinamiche umane, “troppo umane”, che intervengono nell’eccezionalità della guerra. In questo senso, nel panorama delle produzioni cinematografiche di argomento bellico, questo lavoro rimane come “un geranio in mezzo alle ortiche”, proprio come il gol di Conceição contro l’Inter.

Renoir, nel suo capolavoro, ha descritto le illusioni democratiche e aristocratiche intese come immaginari collettivi, con l’affermarsi di uno ed il tramontare dell’altro. Ad un livello più profondo però la “grande illusione” sembra essere proprio il riconoscimento della portata fondamentale dell’orizzonte ludico-immaginario nella costituzione delle teorie e delle pratiche politiche. Sembra dunque che dall’illusione non si esca. Da lì a poco scoppiò la Seconda Guerra Mondiale. Se l’illusione manca di una realtà-verità forte con cui confrontarsi, allora la realtà stessa viene rimessa in gioco; così è almeno stando alla sua origine etimologica come in-lusio, che corrisponde all’essere nel gioco, come ci insegna Huizinga nel suo Homo ludens. Se e quanto l’illusione implica inganno e falsità, in realtà dipende dalla “qualità” del gioco rispetto a chi ne partecipa.

Quel Juventus-Inter allora è stata soltanto una percezione errata della realtà; proiezione fondata solo su desideri e aspirazioni, vana speranza. Abbiamo scherzato… si potrebbe dire. “Povero illuso”: basterebbe questa locuzione pietosa a testimoniare quanto, nel sentire comune, illudersi non sia una condizione invidiabile. Il tifoso bianconero, dopo oltre un secolo di storia, meriterebbe certezze, una in particolare: guardare la Juventus e riconoscerla per quella che è stata.

L’illusione è una falsa rappresentazione, nell’ambito sensoriale, come in quello delle idee e dei sentimenti, dove le illusioni sono aspettative infondate, speranze vane, un inganno, cui nessuno vorrebbe subire. Eppure, in spagnolo ilusión non è per forza una speranza vana e fallace, un’idea ingenuamente ottimistica, ma può essere anche un’aspettativa del tutto fondata e ragionevole, e significare gioia, piacere, entusiasmo: Pedro Calderón de La Barca oltre a farci sognare con l’illusione, ci regala il senso della vita.

Nell’etimo della parola si può trovare in effetti anche dell’ottimismo: illudere formato dalla preposizione in + ludere (in latino, giocare), significa letteralmente far entrare in gioco, giocare con qualcuno o qualcosa. Ma dal gioco al prendersi gioco, dal ludus al ludibrio, il passo è breve. E infatti il latino illudere aveva anche il senso di farsi beffe e offendere, mentre il sostantivo illusio, addirittura, era privo di qualsiasi innocenza, tanto che come termine tecnico della retorica assumeva il significato di ironia e derisione, e nel linguaggio ecclesiastico quello di inganno. Nessuna sorpresa che a prevalere nelle lingue moderne sia stato quest’ultimo significato di matrice religiosa, tant’è che l’italiano antico identificava spesso l’illusione, in quanto scherno o raggiro, con le apparizioni fraudolente dell’ingannatore per eccellenza, il diavolo. Così, dall’innocenza originaria del gioco, si è giunti al senso di rappresentazione ingannevole e speranza vacua.

Solitamente non annoverato tra le lingue cosiddette filosofiche, in questo caso però lo spagnolo rispecchia davvero un’intuizione fondamentale. Scrisse Leopardi nello Zibaldone: «Il più solido piacere di questa vita è il piacer vano delle illusioni […], stante ch’elle sono ingredienti essenziali del sistema della natura umana, (…) senza cui la vita nostra sarebbe la più misera e barbara cosa». Qualche distratto potrebbe subito pensare al pessimismo del recanatese. Qui il pessimismo non c’entra, al contrario, crediamo alle illusioni non perché siamo dei sempliciotti, ma perché è l’unico modo per credere nella vita, posto che non ce ne sia un’altra migliore da qualche parte. Per dirla con Nietzsche, gli esseri umani hanno «una invincibile inclinazione a lasciarsi ingannare», e «cercano di evitare non tanto il fatto di essere ingannati, quanto l’essere danneggiati dall’inganno».

E allora, andiamo avanti con l’illusione, grande o piccola che sia, questa per ora ci tocca: che sia una speranza fondata o inconsistente, ciascuno lo deciderà per sé, quando il progetto bianconero sarà a buon punto o inizierà sul serio - visto che fino ad ora la complicata incongruenza in ogni settore ha stravinto sulla semplice logica -, cercando di non illuderci troppo, e se proprio ci tocca farlo, decliniamo la parola in spagnolo, suonerà più dolce la sconfitta.

Roberto De Frede