Heysel: il restauro della memoria

Heysel: il restauro della memoriaTUTTOmercatoWEB.com
domenica 2 giugno 2024, 21:22Editoriale
di Roberto De Frede
«La scrittura per me è un tentativo disperato di preservare la memoria che mi consente di non perdere pezzi lungo il cammino». I. Allende

La memoria è un’opera d’arte, un monumento costruito dentro di noi che ha bisogno non di una semplice ordinaria manutenzione per rimanere ben salda, bensì di un continuo, doveroso e quotidiano restauro, affinché si rinforzi e resti solida nella nostra anima, per non dimenticare mai e trarre insegnamento da ciò che è successo. Anche se con grande dolore, l’uomo ha necessità di rinnovare il ricordo, renderlo quasi nuovo, presente, per comprendere ancor meglio ciò che è stato, nel bene e nel male. Restaurare è conservare, per quanto più tempo sia possibile, per donare ai posteri la saggezza. Nella sua Teoria del restauro Cesare Brandi, l’insigne senese storico dell’arte, afferma che il restauro è «il momento metodologico del riconoscimento dell’opera d’arte, nella sua consistenza fisica e nella sua duplice polarità estetica e storica, in vista della trasmissione al futuro».

L’uomo ha il dovere di restaurare la memoria: è un suo diritto difendere l’ultimo baluardo contro la cancellazione della coscienza stessa.

In una poesia di Primo Levi si legge «meditate che questo è stato», un verso che riflette tutto il valore e l’importanza della memoria: non solo affinché ciò che è stato non si ripeta, ma anche e soprattutto perché l’impossibilità della rassegnazione all’orrore e alla sua realtà continui a restare custodita nel tempo di chi sopravvive. Le sue pagine hanno svelato al mondo, con una prosa lucidissima e asciutta, la sconvolgente vergogna dei campi di concentramento, raccontata attraverso gli occhi di un uomo impegnato nel preservare la propria dignità sopravvivendo a una tragedia indicibile. Scrive lo stesso Primo Levi che la sua scrittura scaturisce dalla necessità che la memoria storica non vada smarrita, e soprattutto da «l’impossibilità di rassegnarsi al fatto che il mondo dei lager sia esistito, che sia stato introdotto irrevocabilmente nel mondo delle cose che esistono e quindi sono possibili».

Heysel: una pagina del libro della storia del calcio da cui non dovremo mai togliere il segnalibro della memoria; un mostruoso monumento della vergogna. Ciò che accadde quel 29 maggio di 39 anni fa, durante la finale di Coppa dei Campioni tra la Juventus e il Liverpool, deve essere per sempre un terribile indimenticabile monito per le generazioni future: non si può, non si deve morire in uno stadio di calcio per una partita di pallone. E quei 39 angeli assassinati non devono essere uccisi di nuovo da luridi sedicenti uomini spesso impuniti che ancora oggi, con striscioni e cori sulle gradinate di alcuni campi, tentano (invano ringraziando Iddio!) di annullare la dignità di coloro che esalarono l’ultimo respiro in terra belga, continuando ad offendere in tal modo non solo i morti, non solo i sopravvissuti dell’Heysel lacerati nel cuore con ferite giammai cicatrizzate, non solo i parenti di quelle pietose anime, ma l’intera Umanità.

Ripongo nei giovani la speranza di un futuro in cui sia ancora possibile scommettere sull’Uomo. Penso che valga la pena di scommettere sull’Uomo, perchè se non ci fosse questa fiducia nell’Uomo non varrebbe la pena di conservarsi e di continuare a vivere.

Roberto De Frede