È fatta: ecco il nuovo motore del centrocampo!

È fatta: ecco il nuovo motore del centrocampo!TUTTOmercatoWEB.com
domenica 11 agosto 2024, 23:59Editoriale
di Roberto De Frede
La fierezza è il coraggio in un’anima elevata. (Pierre-Marc Gaston de Levis)

Ho letto da qualche parte che Koopmeiners vuole la Juve, non gioca e non si allena. Dovesse arrivare, sarà il benvenuto: un tulipano ha sempre un fascino particolare, discendente di quella stirpe leggendaria olandese dei due Johan, Cruijff e Neeskens e poi di Gullit, Van Basten e Rijkaard. Il problema allora dove sta...? Giuntoli, nonostante le difficoltà oggettive, sta facendo un buon lavoro e qualche nuovo pezzo di alto livello da poter esporre nel salotto buono di famiglia è arrivato: quel Luiz ha piedi buoni e visione di gioco a 360 gradi, è un brasiliano con la B maiuscola. Che sia il faro per altri marinai, vecchi e nuovi. Già, altri marinai… ma dove sono? Fra una settimana si parte, si farà sul serio senza Norimberga e Brest, ma probabilmente ancora a provare schemi e uomini anche nelle partite ufficiali, perché i lavori sono ancora in corso, e sarei troppo ottimista se dicessi che stanno alla metà dell’opera. A leggere i convocati per la partita contro l’Atletico Madrid direi che necessitano tre attaccanti, due centrocampisti almeno, e due difensori, visto che ci si avvia a giocare una sessantina di partite. Il campionato inizia e il calciomercato prosegue guardando sempre più ai libri contabili e meno al prato. Sarebbe più logico che il mercato terminasse almeno una mezz’oretta prima del fischio d’inizio della Serie A, ma ormai i nonsense sono fisiologici nella nostra Società, intesa quale contenitore dei tempi moderni…

L’ultimo appuntamento amarcord con gli “Era il” è giunto, poi dalla settimana prossima si guarderà al presente, sperando che un giorno “Era il 2024-2025” possa essere ricordato per un’annata gloriosa bianconera. Del resto la ricerca sul passato è sempre frutto di interessi, domande, curiosità, riflessioni che nascono dall'oggi. Ogni storia è storia contemporanea, Benedetto Croce docet.

Era il 1969. A Praga per protestare contro l'invasione sovietica della Cecoslovacchia, Jan Palach si dà fuoco; a Londra i Beatles si esibiscono sul tetto dell'Apple; la Marina Italiana prende possesso dell'Isola delle Rose e la distrugge; viene pubblicato il romanzo Il Padrino di Mario Puzo; l'uomo sbarca sulla Luna; al cinema si ride spensierati col Maggiolino tutto matto e si riflette con Il Ragazzo Selvaggio di Truffaut, tratto dalla famosa memoria del medico parigino Jean Itard, ispirato al pensiero pedagogico del filosofo ginevrino Rousseau. Lucio Battisti canta Un’avventura: due ragazzi s’innamorano e scoprono che la loro storia d’amore estiva non sarà un sentimento passeggero, ma la storia della vita. Lo diranno anche i bianconeri della Vecchia Signora e di

BEPPE FURINO

Ci sono stati tanti mediani fortissimi nella storia bianconera: Bigatto e Bertolini, Depetrini e Del Sol, ma nessu-no è stato come lui. Il suo sacrificio, la sua presa diretta nel gioco, là dove nasce il pericolo, là dove si rischia, non manca mai. Un grande campione povero, forse il più grande di tutti, fiero e coraggioso. E non importa se nel mondo del calcio, soprattutto in Italia, sono considerati molto di più i giocatori virtuosi di quelli che sudano, che lottano, che sbagliano un passaggio. Furino ha aperto gli occhi a tanti; si può essere campioni anche non essendo belli. Il quattro bianco cucito sul quadratone nero ha avuto un unico padrone nella Juventus degli anni Settanta: Beppe Furino, al secolo Giuseppe, il motore del centrocampo. Quel numero è la rappresentazione simbolica del senso pratico, della concretezza e della laboriosità. Furia, suo nomignolo, è il mediano, il centrocampista incontrista e cursore con il fisico da fantino, indomito agonista, agisce a ridosso della sua retroguardia, difendendola valorosamente. Affascinato dai meccanismi del calcio, appena comincia la partita si mette lì, nei pressi della linea mediana, e si diverte a smontare gli ingranaggi della squadra rivale come fossero quelli di un orologio. Rimane incollato come un’ombra minacciosa al numero dieci nemico, annullandolo, rubandogli la palla, creando la famosa superiorità numerica e spegnendo così la luce del gioco avversario. Spietato nel contrasto, siculo passionale, non si tira mai indietro, in ogni mischia che si rispetta, lui è presente. Un furetto veloce, con una visione tattica da regista arretrato, tecnicamente niente male, tanto è che nelle giovanili della Juventus – il mito racconta – fa un tunnel addirittura a Enrique Omar Sivori. Un gregario sui generis, un soldato semplice, diventato capitano di uno squadrone. Difensore valoroso dei colori che indossa, leale, disinteressato, un vero paladino, come il conte Orlando, che tante volte avrà ammirato nelle rappresentazioni all’Opera dei Pupi.

Nasce a Palermo il 5 luglio 1946. Cresciuto a livello sportivo nel vivaio della Juventus, attira subito le attenzioni di Renato Cesarini, grande mezzala sinistra del Quinquennio bianconero degli anni Trenta.

Nel campionato ’66-67 i piemontesi lo danno in prestito in Serie B al Savona, dove diventa titolare. Dopo la retrocessione dei liguri, disputa con loro un campionato di Serie C, prima di venir ceduto in prestito, in massima serie, al Palermo nella stagione ’68-69, con diritto di riscatto fissato a trenta milioni di lire. La squadra rosanero, dopo aver conquistato una meritata salvezza, non esercita il diritto di riscatto, e dall’estate del ’69 torna in seno alla Juventus e ci resterà per sempre.

Mentre a Liverpool usciva Abbey Road, l’ultimo album in studio inciso dai favolosi Beatles, il 14 settembre del ’69 lui esordisce con i bianconeri; per uno scherzo del destino, nella prima di campionato la Juventus affronta al Comunale proprio il Palermo. La partita non ha storia. I siciliani passano in vantaggio dopo soli quattro minuti, ma la reazione delle zebre è rabbiosa. Una doppietta dell’ala tedesca Haller e un gol di Leonardi mettono le cose a posto. A dieci minuti dalla fine, ci pensa proprio lui, Beppe Furino con una incursione nell’area isolana a siglare di sinistro la rete del definitivo 4 a 1, cominciando nel migliore dei modi la sua lunga e splendente carriera.

Il suo stile di gioco, da sentinella della propria metà campo, da libero durante le frequenti avanzate di Scirea e da interditore puro a coprire le sgroppate di Tardelli, lo porta a realizzare pochi gol: in quindici anni di Juve sono state soltanto diciannove, in 534 partite. Ciononostante un gol storico è suo: quart’ultima giornata del campionato ’76-77, sabato 30 aprile. Al Comunale di Torino va in scena l’anticipo contro il Napoli. La Juventus, che lottava con i granata per lo scudetto, reduce dal pareggio di Perugia, era obbligata a vincere. In vantaggio con Bettega, viene raggiunta dai partenopei nella ripresa. La squadra bianconera era in difficoltà, il Napoli la metteva sotto, e un autentico nubifragio si abbatte sul terreno di gioco. A quattro minuti dal termine, quando lo spettro del sorpasso del Toro si stava oramai materializzando, ecco che, tra grandine e fango, sudore e fatica, spunta la zampata vincente di capitan Furino, che raccogliendo un lob perfetto di Causio, scaraventa il pallone del diciassettesimo scudetto della storia bianconera alle spalle di Carmignani.

All’ombra della Mole Antonelliana, nel corso di tre lustri, Furino vince otto scudetti, due Coppe Italia, una Coppa Uefa e una Coppa delle Coppe. Chiude la carriera in bianconero il 6 maggio dell’84, quando Trapattoni gli concede il secondo tempo di Juventus-Avellino, a ennesimo scudetto ormai acquisito, onorando una carriera leggendaria.

In Nazionale conta soltanto tre presenze. Vicecampione del mondo in Messico nel 1970, nonostante sia della spedizione azzurra, non riesce ad esserne protagonista, giocando solo il secondo tempo della sfida della fase a gironi contro l’Uruguay. Con i C.T. non c’è una buona intesa, ma lui non è giocatore da dichiarazioni polemiche o da grandi proclami: l’azzurro non è stato un suo rimpianto.

Ha avuto gloria ugualmente con una casacca azzurra, un azzurro di un mare in tempesta: contro l’Atletico Bilbao nella battaglia finale del San Mamés. Era il 18 maggio 1977. Furino, dopo aver resistito all’assedio dei baschi nel fortino innalzato con l’aiuto dei suoi prodi compagni, alza al cielo di Spagna la Coppa Uefa, il primo trofeo internazionale della Juventus, la sua unica vera nazionale. Parafrasando il titolo di un film di Elio Petri, con Furino la classe operaia era andata in paradiso: il mediano stacanovista con una sola divisa per tutta la vita, quella a strisce bianconere.

Capitano con l’elmetto e bandiera. Vessillo non solo sventolante in cima ad un pennone, ma combattente sul terreno di tutti i campi. Beppe Furino, cuore e simbolo di juventinità.

Roberto De Frede

Tratto da "Ritratti in bianconero" di Roberto De Frede - https://www.amazon.it/dp/B092PKRN38?ref