CI SIAMO! Il tempo dell’inizio: se tutto (o quasi) manca… resta la speranza

CI SIAMO! Il tempo dell’inizio: se tutto (o quasi) manca… resta la speranzaTUTTOmercatoWEB.com
domenica 18 agosto 2024, 23:36Editoriale
di Roberto De Frede
Certo, certissimo, anzi probabile. (Ennio Flaiano)

Un nuovo campionato di calcio è cominciato. Per la Juventus - nonostante l’inutile dose di scadente ambrosia che i buonisti e i cerchiobottisti tentino di iniettare nelle vene dei tifosi bianconeri - è l’inizio con più dubbi, precari equilibri, nonsense, mancanze e amarezze che si ricordi. Si invocano, si auspicano da un po’ di tempo sempre cambiamenti, senza comprendere che alla Juventus l’arma vincente è stata sempre quella di non cambiare mai, ma di restare se stessa. È un errore non guardare al passato o peggio schernirlo, presuntuosamente pensando che esista solo il futuro. David Bowie, come brano d’apertura del suo album Hunky Dory del 1972, cantava Changes: ogni tanto l’ascolto, farebbe bene a tanti ascoltarlo.

Ed ecco i cambiamenti… Si parte con una rosa drammaticamente incompleta in ogni reparto, ad esclusione della scommessa Di Gregorio; con una panchina che dir corta sarebbe un eufemismo, composta di nomi che anche l’almanacco del calcio stenta a riconoscere; con un progetto che doveva essere “giovane” e quasi tutti i giovani sono stati ceduti o poco considerati dal nuovo mister; con un calciomercato ancora in corso, tra acquisti simili a illusioni ottiche e cessioni pregne di incertezze di calciatori che potrebbero esser utili alla causa ma non alla cassa; con il miglior attaccante italiano (Chiesa, anche se ormai menomato dall’infortunio) messo fuori squadra; con uno sponsor “liquido” di seconda scelta perché quello “aereo” di prima… pare bloccato addirittura dal governo; con partite amichevoli estive stomachevoli, da far rabbia ai tifosi che non sanno più cosa pensare; con un solo vero attaccante di ruolo, il serbo, e poi intorno a lui il deserto. Guardiamo con molta fatica (e che fatica!) anche il bicchiere mezzo pieno: l’investitura del numero 10 (a qualcuno la dovevano pur dare... ) a Yildiz e l’innesto del brasiliano Douglas Luiz nello scacchiere è fondamentale. E gli altri pezzi degli scacchi dove sono? O per caso si pensa che al posto di nobili torri e alfieri, e regali cavalli, possono essere impiegate le umili pedine della dama, manco a farlo apposta bianche e nere?

Eppure siamo all’inizio, e l’inizio, almeno quello, desidererei che fosse piacevole. Chi non conosce il piacere dell'inizio? Un nuovo amore. Un nuovo lavoro. Una nuova automobile. Un nuovo anno. Una nuova epoca. Nella storia il nuovo inizio prende il nome di rivoluzione, e se anche le rivoluzioni hanno perso credito, sopravvive comunque il mito di un attimo splendente in cui tutto pare avere un nuovo inizio. La presa della Bastiglia nel 1789, l'assalto al Palazzo d'Inverno nel 1917, la caduta del Muro di Berlino nel 1989. Fratture nel tempo. Questi attimi hanno il pathos dell’ora zero, sono un nuovo gioco: ricominciamo tutto da capo. Quante cose potranno accadere! Ci sono inizi a volte troppo ingombranti. Una storia d’amore può avere uno sviluppo che non è all’altezza di come è cominciata. In questo caso la storia dura solo fin tanto che la spinta iniziale riesce a portarla avanti e di conseguenza la fine dell’inizio diventa l’inizio della fine. Ci sono anche inizi più comuni, quotidiani. Cominciamo a leggere un nuovo libro e non occorre tornare indietro perché abbiamo dimenticato qualche nesso; è ancora tutto ben presente. Frase dopo frase un nuovo mondo si dispiega ai nostri occhi. In ogni vero inizio è presente la possibilità di una trasformazione.

Proviamo l’impulso di liberarci – ma facendone tesoro - di tutto ciò che ci riporta indietro: alla nostra storia, alle tradizioni, alle migliaia di cose in cui ci si lasciati invischiare. Ma come funziona questo gesto sovrano che permette di lasciarsi qualcosa alle spalle senza rimanerne incatenati? È molto difficile ed è per questo che i sogni le fantasie di un nuovo inizio risultano così attraenti. La Juventus d’oggi, di Motta-Giuntoli, ha questa forza?

La letteratura ha una relazione particolarmente stretta con l’avventura dell’inizio. Rispetto alla vita reale la letteratura rappresenta lo spazio per un agire virtuale, per fare tentativi. L'autore sperimenta con le biografie, compresa la propria. Si immagina percorsi diversi. E già solo con il semplice atto di immaginare si colloca al di fuori della successione temporale consueta e prova una vita diversa. Intesa in questo modo la letteratura, qualunque sia il suo tema, è l'espressione di un nuovo inizio o, comunque, affronta e descrive spesso il desiderio che esso si compia. Un libro celebre sul tema dell'inizio è il romanzo frammentario Il castello, scritto da Franz Kafka nel 1922. Kafka, che di sé amava dire “la mia vita è l'esitazione prima della nascita”, fa intraprendere al proprio personaggio, l’agrimensore K. l’esperimento di un nuovo inizio. Senza passato, senza luogo d’origine, il personaggio arriva in un paese ai piedi di un castello in cerca di un nuovo inizio. Eppure egli ancora non è sottomesso alla legge della perdita di percezione determinata dalla consuetudine, dall'abitudine dall'ovvietà culturale. K. ha così l'occasione di scoprire un mondo straordinario, che però in realtà non è altro che quello normale, semplicemente osservato dalla prospettiva di chi ancora non ne fa parte, in quanto in esso è un principiante Questo sguardo primigenio sul mondo rappresenta la magia della scrittura kafkiana non solo per noi, ma anche per l'autore stesso. Kafka trovava gioia nella scrittura in quanto l’inizio gli dischiudeva un nuovo mondo, fatto di storie spesso dolorose e deprimenti, ma sempre ricche di mistero e di sorprese. Anche per questo, una volta consumatosi l'impulso dell'inizio, Kafka interruppe e lasciò incompiuti i suoi grandi romanzi.

Anche il calcio come la letteratura ha un nesso imprescindibile con gli inizi. La Juventus – si dice da mesi – comincia con Motta&Compagnia bella un ciclo, un grande romanzo, sperando che non venga lasciato incompiuto.

Un tempo si auspicava a vincere tutto, perché di un paio di trofei si era certi; oggi si spera che sia una rosa almeno numericamente passabile. Sperando. Già, anche la speme ultima dea fugge i sepolcri cantava il Foscolo. Il viaggiator-tifoso affronta, a volte quasi costretto mai come in questo caso, il cammino della vita-campionato grazie alla speranza, senza la quale non sarebbe possibile né il viaggio, né lui stesso inteso come un essere che si dirige verso il futuro. Se per ora “tutto” o quasi manca, resta la speranza. Quella, nessun pressappochismo di calciomercato, nessuna tattica sbagliata, nessuna sconfitta estiva, nessuna mala gestio generale può togliercela.

La speranza non soltanto sostiene nel “pellegrinaggio”, ma rende anche possibile la vita. La speranza fa diventare liberi, senza d’essa l’uomo si trasforma nel prigioniero della situazione, del tempo e del luogo. Con essa può abbandonare quello che conosce nel nome di quello che ancora non conosce, ciò che esiste nel nome di ciò che ancora non si è realizzato. Il pellegrino-tifoso si dirige verso il futuro e crede di poter superare tutti gli ostacoli che la vita gli porrà davanti, la forza della speranza lo guida verso un domani ancora non definito, ma già percepito come un valore. La speranza è la condizione che rende possibile ogni attesa: l’uomo aspetta fino a quando nutre la speranza, quando la perde smette di aspettare. Tutto ciò che è fondamentale nella vita rimane in una stretta relazione con la speranza e da lei dipende. Grazie alla speranza l’uomo supera le difficoltà, vince la paura e il dolore, grazie a lei va avanti e vive creando sé stesso, il mondo che lo circonda e le relazioni con le persone che incontra sulla scena del proprio dramma. La speranza è uno scopo, un valore che dà l’ordine alla vita e che, con la possibilità della sua realizzazione, le dà anche un senso.

Federico García Lorca scriveva che la più terribile delle sensazioni è la sensazione di aver perso la speranza. Quella non l’ho persa, non la perdiamo, ma una sensazione angosciante in queste uscite ultime della Juventus mi ha travolto: quella di guardare la Juventus e non riconoscerla più. Mi auguro che sia soltanto un mio problema, e la mia sia una prosopagnosia passeggera.

Doveva essere certo, certissimo già alla prima di campionato l’inizio di un nuovo ciclo bianconero. Probabilmente sarà così. Si spera.

Roberto De Frede