Danilo e la lettera motivazionale ai tifosi del Brasile: ''Al Real ero depresso''

Danilo e la lettera motivazionale ai tifosi del Brasile: ''Al Real ero depresso''TUTTOmercatoWEB.com
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venerdì 21 giugno 2024, 22:30Altre notizie
di Alessia Mingione

Il capitano della Juventus Danilo, ha pubblicato al The Players Tribune, una lettera motivazionale indirizzata ai tifosi del Brasile in vista della Coppa America. Di seguito, le parole emozionanti del difensore.

''Popolo brasiliano, siamo onesti gli uni con gli altri. Da giocatore a tifoso. Senza indorare la pillola. Comincerò io. Per molto tempo, non siamo stati abbastanza all’altezza. Questo non significa che non ci abbiamo provato, che non ci siamo impegnati, o che non abbiamo sentito il dolore della sconfitta. Non fraintendetemi, ma nessuno sa a quanto ognuno di noi abbia rinunciato per essere qui. Abbiamo rinunciato a tutto per la Nazionale Brasiliana. Come dico sempre nel discorso pre-partita, siamo un gruppo che ha molta fame e molto orgoglio di rappresentare il nostro Paese.
Allo stesso tempo, vediamo e sentiamo ciò che si dice su di noi. In qualche modo, non siamo stati in grado di dimostrare quanto siamo disposti a
sacrificare per questa maglia. Ho approfittato di questo periodo di preparazione alla Copa América per sottolineare che l’unico modo per cambiare questa immagine è dare anima e corpo in campo. Bene, ora tocca a voi. Di cosa parlate quando giocate a calcio con gli amici? Al tavolo del bar? Ai barbecue con gli amici? E la stampa? I camionisti? Le signore in chiesa? Cosa pensate di noi? “A loro non interessa”. “Non vogliono davvero essere lì“ “Sono solo dei ragazzi ricchi che non amano la maglia”. Abbiamo tutti sentito queste cose. Non possiamo sfuggire ai social media, anche se spegniamo il cellulare. E, in effetti, capisco perché si dicono queste cose. C’è una barriera tra noi e voi. Non è solo qui in Brasile. È ovunque. È la nostra
società. Vai su Instagram e cosa vedi? Un sacco di cose false o superficiali. Un ragazzo che posta una foto con la sua Ferrari. Tutti sempre felici. Tutti
sempre in spiaggia. Anch’io ho la mia parte di felicità. Non biasimo chi affronta quotidianamente problemi ben più gravi se ci guarda e pensa: “non danno valore a ciò che hanno”. Ma posso dirvi, dal profondo del cuore, che ogni giocatore che indossa la maglia verdeoro ne sente il peso, indipendentemente da quello che dice la gente. “È solo un’altra partita. Non sentiamo la pressione. Siamo professionisti”. Stro****! È il Brasile. Senti sempre la pressione. Non dimenticherò mai la prima volta che fui convocato nella Nazionale U-20. Eravamo in Paraguay per l’esordio nel Sudamericano e, la sera prima, non facevo altro che pensare a come sarebbe stata la mia maglia appesa nello spogliatoio. Sarebbe stata gialla o blu? Per favore, fa che sia gialla. La mattina dopo, nella foga di giocare, mi pulii gli scarpini tre volte.Poi finalmente arrivai allo spogliatoio ed ecco cosa vidi:Il giallo perfetto. Il numero verde. Il mio nome. C***! Mi sono seduto lì, tenendo la maglietta tra le mani come un neonato, e questo è l’aspetto che aveva la mia faccia…. (faccina sorpresa ndr.) Giuro. (faccina sorpresa ndr.) Mi sono detto: stai per giocare la partita della tua vita. Darai tutto. Per la tua
famiglia e i tuoi amici. Per tutti coloro che ti hanno aiutato ad arrivare fin qui. Per l’intero Paese. Spaccherai! Amico, sono entrato in campo e ho completamente dimenticato come si calciasse un pallone! Ero così nervoso… Un semplice tiro? Fuèèn. L’ho calciato tra gli spalti. La maglietta sembrava pesare 50 chili. E per circa 50 minuti ho giocato la peggior partita della mia vita. Poi ho preso un cartellino giallo e l’allenatore ha
avuto pietà di me e mi ha tolto. Ma sapete una cosa? Quando sono uscito dal campo, non ero triste. Non ero nemmeno arrabbiato con me stesso.
Perché posso dire onestamente che non potevo fare altro. Ho corso fino quasi a farmi cadere gambe. Ho pensato: se questa è l’ultima volta che gioco per il Brasile, vaffaaaaa! Almeno ho dato tutto in campo. Per me questa è la cosa più importante nel calcio: dare tutto quello che puoi.
Beh, non è sempre possibile, lo so. Ci saranno molti, molti momenti in cui le gambe semplicemente non funzioneranno. Quando ti svegli sentendoti
terribile, pensi che tutti ti odino e che non meriti nemmeno di indossare quella maglia. Conosco bene questa sensazione. Sono umano. Non sono sempre stato al mio meglio. Per essere ancora più onesto con voi, durante la mia prima stagione al Real Madrid mi sentivo depresso. Mi sentivo perso, inutile. In campo non riuscivo a fare un passaggio di cinque metri. Fuori dal campo, era come se non riuscissi nemmeno a muovermi. La mia passione per il calcio era scomparsa e non vedevo una via d’uscita. Volevo tornare a casa mia, in Brasile, e non giocare più a calcio. Non mi vedevo più come Baianinho, il figlio di Baiano (è così che chiamano mio papà). Mi vedevo come Danilo, quello che aveva “firmato un contratto da 31 milioni di euro”, come riportavano i giornali – il difensore più costoso che il Real Madrid avesse mai acquistato fino a quel momento.
“La mia passione per il calcio è scomparsa e non riuscivo a vedere una via d’uscita. Volevo tornare a casa mia, in Brasile, e non giocare più a calcio”.
Quando giocammo contro l’Alavés, pochi mesi dopo l’inizio della stagione, Theo Hernández mi rubò la palla e crossò per Deyverson che segnò.
Vincemmo comunque 4-1, ma era un errore che al Real Madrid non si può commettere. Non dimenticherò mai di essere tornato a casa quella sera e di
non essere riuscito a dormire. Scrissi sul mio diario: “Credo sia arrivato il momento di abbandonare il calcio”.
Avevo 24 anni. Quale parte di me sentiva davvero la pressione? Il ragazzo che era stato una rivelazione come terzino destro al Porto? O il ragazzo di Bicas che aveva improvvisamente firmato per la più grande squadra al mondo? La risposta era chiara. Dentro di te, sei ancora e sarai sempre il ragazzo di Bicas. Non ho detto a nessuno quello che provavo. Casemiro ha cercato di aiutarmi, ma io ho “ingoiato il rospo”, come si dice. E il rospo è diventato sempre più grande. Ma dopo alcuni mesi di sofferenza, ho iniziato a vedere uno psicologo che mi ha davvero salvato la carriera. La lezione più importante che mi ha insegnato è stata quella di vedere il gioco attraverso gli occhi di un bambino. Quando giochi a calcio da bambino, non pensi mai troppo, giusto? Corpo e mente sono in sintonia. In sostanza: non ti importa se fai degli errori. Giochi e basta. Improvvisamente, ho smesso di vedermi come Danilo, il giocatore da 31 milioni di euro. Ho iniziato a vedermi come Danilo di Bicas, il ragazzo che all’Atletico Mineiro chiudeva l’armadietto con il lucchetto perché teneva un rotolo di carta igienica come se fosse “oro”. Aiutare con 1 real ogni domenica i miei cinque amici e portarli a mangiare una pizza. Implorare il mio amico di avere 90 secondi sulla sua scheda telefonica per poter chiamare la mia ragazza.
Chiedere con insistenza uno sconto al tizio dell’Internet Café per poter parlare a distanza con la mia famiglia. “Ehi, fratello, so che un’ora costa 1 real, ma ho solo una moneta da 50 centesimi in tasca. Metti mezz’ora di internet, per favore!”. Dormire con scarafaggi, ragni e scorpioni nel centro d’allenamento. Non sto cercando di romanticizzare le difficoltà che ho incontrato. So che la vecchia generazione, leggendo tutto ciò, non rimarrà impressionata dalla storia degli scarafaggi. Ogni volta che parlo con mio papà, lui richiama alla realtà. Qui farò finta che siamo seduti intorno al tavolo della cucina nella nostra casa di Bicas, a piedi nudi, a bere caffè per cinque ore: “Danilo, svegliati, figlio mio! Non hai mai avuto nessun problema! Sai cosa vuol dire vivere guidando un camion?”. (Sì, papà. Continua “Una notte, pioveva troppo forte e il mio camion si è rotto sul ciglio della strada. In mezzo al nulla. Non potevo dormire sull’asfalto. Era molto
pericoloso, i ladri erano ovunque!”. (Cosa hai fatto, papà?) “Beh, sono sceso dal camion e ricordo che pioveva a dirotto, un diluvio, una
tempesta come non si era mai vista! Così sono andato nel sottobosco e ho
trovato un albero di banane. Presi un pezzo di cartone dal mio camion e ci
costruii sotto una casetta. Cerca sempre un albero di banane, figliolo! Hanno
le foglie migliori! Ho dormito lì mentre l’acqua scorreva e… Sai cosa ho fatto,
figliolo?
(Cosa, papà?)
“Ho camminato per 8 chilometri fino alla città per riparare la ruota rotta! E altri
8 chilometri per tornare! Poi ho guidato per altre 12 ore! Solo perché tu e i tuoi
fratelli poteste mangiare! Solo così avremmo potuto avere abbastanza soldi
perché tua mamma potesse fare la spesa quel mese! Quattro bambini a casa!
Dio mio!
Sai quanti chili di riso mangiano quattro ragazzi??? Milioni. Quindi, non
parlarmi di ragni sotto il letto, figliolo”.
E continua così per un’altra ora…
Ma mio padre ha ragione, naturalmente. Oggi, se la mia doccia è un po’
troppo calda, alzo il telefono e improvvisamente ci sono 10 ragazzi a casa mia
con chiavi inglesi per sistemare tutto. Sono queste piccole cose che iniziano a
disconnetterci dalla nostra essenza, non solo come calciatori, ma come
persone.
Credo che questo sia parte di ciò che mi è successo al Real Madrid. Ho
dovuto ricordare le mie radici e la gioia di giocare a calcio non per fama o
denaro, ma per divertimento.
Se la mia carriera è stata salvata in quel momento, devo ringraziare alcune
persone: i miei terapisti e i miei figli. I miei due ragazzi.
Miguel è nato nel 2015, poco prima che partissi per il Real Madrid. È un
piccolo intellettuale. Legge e scrive tutto il giorno. Ha 50 biografie in camera
(“No, papà, ne ho 28!”) Adesso sta leggendo Einstein. Non gli importa nulla
del calcio. Non sa nemmeno con quale piedi calcia.
Non gli importa molto se il Brasile vince o perde.
Mio figlio più piccolo, João, non accetta di la sconfitta.
João è nato nel 2019, poco prima della pandemia, ed è un calciatore. Non
dimenticherò mai quando sono tornato a casa dopo la sconfitta con la Croazia
nell’ultima Coppa del Mondo. Sono andato a letto e i miei figli mi stavano
ancora aspettando. Sono entrati in salotto e João ha detto: “So che il Brasile
ha perso. Ho visto il punteggio”.
Lui è così, molto diretto.
Allora ho iniziato a piangere, perché sentivo di aver deluso i miei figli e tutto il
Paese.
Miguel è venuto a letto con me e mi ha detto: “Va tutto bene, papà. So che hai
fatto del tuo meglio”.
Sono rimasto lì a piangere per un’ora, lui mi ha abbracciato e mi ha detto che
andava tutto bene e che era orgoglioso di me. A volte abbiamo bisogno dei
nostri figli più di quanto loro abbiano bisogno di noi.
Per me è stato un grande punto di svolta. Dopo il doppio colpo, la pandemia e
l’uscita dalla Coppa del Mondo, avrei potuto avere una ricaduta. Avrei potuto
cadere di nuovo in depressione. Avevo 30 anni. Avrei potuto dire: “Ok, ho
avuto una buona carriera. Ma ho già raggiunto il mio massimo. Ora posso
rilassarmi”.
Ma ho fatto il contrario. Ho iniziato a parlare ogni giorno con il mio terapeuta.
Ho iniziato a leggere di più. Ho iniziato a sfidare me stesso per essere un
leader migliore. Ed è stato allora che tutto si è illuminato per me.
Quando ho ricevuto la fascia di capitano alla Juventus è stato un grande
onore.
Ma quando ho ricevuto quella del Brasile, è stato qualcosa di diverso. Un
onore immenso, incomparabile.
Quando Dorival Júnior mi ha detto che sarei stato il capitano per le amichevoli
contro l’Inghilterra e la Spagna, mi sono detto: “Non importa cosa succederà
nella prossima partita o dopo, posso morire felice”.
Ecco perché mi sono commosso prima della partita con l’Inghilterra. Quando
ho visto i miei compagni di squadra, avevo bisogno di esprimere tutto quello
che provavo. Quando indossiamo questa maglia gialla, dobbiamo dare tutto.
Non possiamo lasciare nemmeno una goccia di sudore nei nostri corpi.
Se vogliamo avvicinarci all’energia del popolo brasiliano, dobbiamo resettare
la nostra mentalità.
Questo è ciò che il popolo brasiliano merita. Ogni passo che facciamo in
campo deve essere per voi, che pretendete, ci criticate e ci prendete in giro,
ma che lo fate solo perché amate davvero la Nazionale e vi preoccupate per
la nostra squadra.
Non siamo qui per fare vedere le nostre nuove scarpe o per scattarci dei
selfie, ma per dimostrare che il sangue pulsa nelle nostre vene.
E sapete una cosa? Penso che tutti noi potremmo imparare una o due cose
dai più giovani, come Endrick, il più giovane del gruppo.
Guardate cosa ha fatto contro l’Inghilterra.
Tra l’altro, è ancora un ragazzino. Guardo la sua faccia e penso: Wow, sono
davvero vecchio!
Quasi non sapevo come parlargli mentre facevamo colazione in albergo. Ho
chiamato uno dei giocatori più giovani e gli ho detto: “Dillo a Endrick da parte
mia”.
Mi sentivo come uno zio!
Ma prima della partita con l’Inghilterra l’ho guardato negli occhi e ho capito
che era pronto per quel momento. In quella partita eravamo molto sotto
pressione a causa dei nostri avversari. Così, quando ha segnato il gol della
vittoria, tutti corsero a festeggiare con lui vicino ai cartelloni pubblicitari. Ma io
non ci sono nemmeno andato. Vidi che avrebbero rivisto l’azione al VAR, ed
ero così esausto che ne approfittai per andare in panchina a prendere un po’
d’acqua.
Come vedi, da vecchio, devi essere intelligente…
Quando il gol è stato confermato, Endrick mi ha abbracciato come un
bambino che si diverte al parco.
Ma sapete una cosa? Quando ho incontrato Endrick dopo la partita, come
capitano, ho dovuto dirgli la verità…. Gli ho detto: “Endrick, sei stato
incredibile. Ma avresti dovuto segnare il secondo gol”.
Lui rispose: “Danilo, non sapevo nemmeno cosa stavo facendo!”.
Spero che questa partita sia il punto di riferimento di un nostro nuovo capitolo.
Una nuova mentalità. Un nuovo spirito.
Quando siamo usciti dal campo, tutte le domande erano: “Non pensi che
abbiamo esagerato? Era solo un’amichevole”.
No, no e no. Questa è il punto!
Guardate come giocano le altre squadre contro di noi, come vanno duri sui
nostri attaccanti. Non c’è mai alcuna indulgenza.
Dobbiamo fare lo stesso. A volte bisogna soffrire tutti insieme. È una lezione
difficile che credo abbiamo imparato negli ultimi anni.
Come capitano, so esattamente cosa significa la Seleção per il nostro Paese.
E la Copa América è una grande opportunità per dimostrare che il nostro
gruppo comprende il peso della responsabilità di indossare questa maglia.
Penso che dobbiamo giocare come se stessimo lottando per tornare a essere
di nuovo dei calciatori professionisti. Perché questa è la specialità del popolo
brasiliano, giusto? È quello che c’è nel nostro DNA. Lottare, essere
coraggiosi, non arrendersi mai. Dormire sotto un c**** di albero di banane.
Non abbiamo solo l’obbligo di lottare come calciatori, ma come brasiliani.
Il mio messaggio finale a tutti voi è molto semplice:
Uniamo le forze in questa lotta

Non siamo qui per sfoggiare i nostri nuovi scarpini o per scattarci dei selfie.
Siamo qui per lottare.
Siamo qui per lottare e per provare a vincere la Copa América.
Dal vostro capitano, con il massimo rispetto e onestà, Danilo''
.